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Scuse alla Diliberto e caos alla Di Pietro

 

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Passi per strada e ti fotografano accanto ad una signora con una maglietta necrofila e vieni catapultato nel tritacarne post mediatico (ah, questi new media così democratici e repentini e) senza avere il tempo per capacitartene. Le tue scuse non sono più di un cinguettio e sembri sempre più goffo ogni volta che “appari”. Ecco, è il segno del vuoto che hai prodotto, tu insieme a tanti altri. Ma che tristezza il fatto che non te ne sei nemmeno reso conto, nemmeno per sbaglio.

Le scuse alla Diliberto permettono per un attimo lo svelarsi di una verità che avevamo troppo in fretta archiviato (dopo i fasti novembrini): che siamo ridotti a parlare di miserie mentre qualcuno cambia per noi – noi che non lo sapevamo fare – le regole della vita comune, le regole del lavoro e del tempo del riposo. Quella che chiamavamo ‘politica’ ora è ridotta a stampare magliette, a creare slogan da ‘terzo anello’. Se potesse, avrebbe già buttato motorini dagli spalti, avrebbe menato i celerini e incendiato i cassonetti, questa politica. Il linguaggio che oggi intrattiene lo spettatore-elettore, volutamente violento e indisciplinato, è il linguaggio privo di parole e di significati, pieno di sensi unici, solo in apparenza caotico ma sotterraneamente volto alla solita vecchia pratica della distrazione di massa.  Abbiamo imparato bene, purtroppo, da chi nei diciassette anni precedenti ha dominato e plasmato la sfera pubblica, riducendola a mera platea acclamativa. “Il problema, in altre parole, non è la bossizzazione dei cosiddetti ‘moderati’ – ma quella del dibattito e, di conseguenza, dei cittadini”, scrive Fabio Chiusi su IlNichilista.

Per l’appunto, il caos del linguaggio si accompagna al caos della prassi politica. Laddove ci si schiera e si creano alleanze, laddove ci si propone alla cittadinanza in una consultazione elettorale per la scelta del candidato sindaco e si perde, succede che si rompe il patto di alleanza pur di non mettere il proprio partito al servizio del candidato scelto alle primarie. Illogico e surreale. Si rinnegano le regole, quelle regole a cui ci si è volontariamente assoggettati. Così fa Italia dei Valori, a Palermo. Il nuovo candidato dell’Idv è Leoluca Orlando, il non scelto liberamente dai cittadini dal (secondo? terzo?) meno democratico dei partiti. Quale valore ha ispirato questa scelta dell’Italia dei Valori? Perché questo continuo vilipendio della parola e delle regole (e dei cittadini)? Leoluca Orlando non è altro che il secondo e più importante leader dell’Idv. Un barone, in Idv. E’ in politica dagli anni Ottanta. Ha vissuto almeno tre diverse distinte stagioni della politica. Ed è già stato, in tempi remoti ma attualissimi, sindaco di Palermo. No, non è una resistenza democratica (Di Pietro, in IlNichilista, cit.) che può giustificare questo cambio di carte in tavola. Soprattutto, è ora di decidere chi e cosa volete essere. Se preferite ‘alimentare’ il vostro partito con la linfa vitale che lo ha sempre alimentato, l’indignazione e l’odio – questo carburante nobile – oppure uscire dalla dinamica emergenziale degli appelli alla difesa dei diritti e cominciare a definire la propria proposta per il paese. Tanto per cominciare, per esempio, si sarebbe potuto andare ad una trattativa sulla Riforma del Mercato del Lavoro con un proprio documento, uno straccio di bozza, un memorandum di tutta la sinistra che avesse coinvolto i sindacati. E invece no, tutti in ordine sparso, sbraitando al golpe non appena si dice ‘riforma’. Ma questa ‘politica’ ha in vista solo la sua medesima sopravvivenza. Null’altro.

Ma quale bufala, è l’effetto Grecia: le rivolte di piazza sull’orlo del default

foto La Repubblica

Effetto fallimento. O default. Chiamatelo come desiderate. Per il TG1 sono bufale. Bufala la presunta presenza di agenti sobillatori fra i dimostranti. Qualcuno ha dimenticato il potere di Internet: tramite la rete le idee circolano. Tutti abbiamo la possibilità di vedere e giudicare. Sia in quanto cittadini che netizen, abbiamo il diritto di sollevare questioni e porre domande. Così è stato fatto su questo blog, con il caso di GiaccaFaccia, la cui figura nelle primissime ore degli scontri è stata interpretata perlomeno come ambigua, con in mano quel manganello e quelle manette. Molti di voi hanno avuto la mia stessa percezione, vedendo quelle immagini. Molti altri hanno dubitato e hanno invitato alla cautela. Per molte ore nessuno è stato in grado di spiegare il ruolo di GiaccaFaccia negli scontri.

Ridurre il tutto alla dicotomia bufala/non bufala è riduttivo e serve a sviare l’attenzione dalla vera questione: tutti noi abbiamo il diritto di porre delle domande e di ricevere delle risposte. Ricordatevi che un blog non è un giornale. E’ uno spazio atipico in cui una o più persone esprimono il proprio punto di vista sul mondo. Si manifestano tramite il pensiero e la parola. Esercitano cioè la propria libertà individuale di espressione. Ecco, allora: per una volta i blog, facebook, la rete, ovvero le persone connesse ad essa per mezzo dei computer e delle linee telefoniche sono state in grado di determinare il dibattito dell’opinione pubblica. Stamane il giallo di GiaccaFaccia era su tutte le prime pagine. Era cominciato – forse – su questo blog (o su facebook). E’ stato ribaltato lo schema gerarchico dei produttori di informazione e dei consumatori di informazione. Non è la prima volta che accade, ma è successo di nuovo e succederà sempre più spesso. Perché? La ragione fondamentale è che le persone vogliono partecipare. Scendono in piazza e urlano. Sono più che altro giovani. Quei giovani che si connettono a internet e si informano non tramite le vie canoniche e irrigimentate dalla fedeltà al padrone dei telegiornali. Chi ha criticato l’ipotesi degli infiltrati ha aggiunto che martedì a Roma gli scontri non potevano essere ricondotti a poche decine di persone. Questa volta, hanno detto, è stato diverso. Erano centinaia. Non è stata la solita manifestazione con quei tafferugli quasi preordinati fra centri sociali e polizia. E’ stata guerriglia. Una rivolta vera e propria. Oserei dire, un atto di resistenza.

Cosa accade se una classe dirigente, l’intera classe dirigente, è divenuta impermeabile alla società e non è più in grado di fornire risposte alle domande della società medesima? Succede che la domanda inascoltata diviene sempre più forte fino a rompere gli argini dell’ordine sociale. La domanda inascoltata diventa legittima sul piano della moralità. Di fatto il potere che non ascolta la domanda che promana dalla società, che la rifiuta trincerandosi in un condizione di agio dorato, diventa potere dispotico (sì, anche se frutto di regolari elezioni). Allora diventa legittimo tutto, persino la resistenza con ogni mezzo, persino la violenza è legittima dinanzi al dispotismo. Lo è stato nel ’43, quando il paese era sotto il giogo dei nazisti. Lo potrebbe essere oggi, se la classe politica non mettesse in opera i necessari canali di circolazione delle élite, aprendo le liste elettorali alla libera scelta dell’elettore, permettendo che i partiti siano liberamente determinati dagli elettori nella formazione degli organi dirigenziali. Quella di martedì è stata una risposta emotiva, è vero, alla pantomina della fiducia comprata da Berlusconi. Ma è soprattutto una richiesta gridata di democrazia.

Fatti non dissimili da quanto accaduto in Grecia, quando la popolazione si è vista, da un giorno all’altro, privata dei diritti e decurtata nei salari. E’ quello che è successo in Inghilterra, quando una Camera dei Lord,quasi del tutto sorda e cieca, ha approvato l’aumento delle tasse universitarie. C’erano migliaia di giovani in piazza. Hanno lottato contro chi stava decidendo del loro futuro senza tenere minimamente conto della loro opinione. E’ l’effetto della Crisi del Debito: la cancellazione delle generazioni future. Che non ci stanno a essere depennate da chi quel futuro non lo vivrà affatto.

Pertanto chi festeggia per la fiducia strappata a furia di bigliettoni nelle tasche delle giacche di un Scilipoti qualsiasi, beve forse il calice della sua ultima cena. Poiché il governo, nel 2011, dovrà apportare alla spesa pubblica il colpo finale. Il PIL italiano langue da un decennio. Accade perché la nostra produttività è in costante calo. Perché la nostra attività lavorativa non crea abbastanza valore aggiunto. Per produrre spendiamo 100, il valore di ciò che abbiamo prodotto è 101. Una miseria. Ciò è a sua volta causato dal fatto che la classe imprenditoriale non è in grado di immaginare il futuro. Non crea nulla. Investe in prodotti standard a basso valore aggiunto. Per poter lavorare in profitto, è costretta a stringere sul costo del lavoro. Per quindici anni lo hanno fatto grazie alla precarizzazione dei contratti. Altri hanno delocalizzato. Adesso tentano di cancellare lo Statuto dei Lavoratori e il Contratto Collettivo Nazionale (o di operarne in deroga come vuole Marchionne). Pensate a quanto sono miseri, a quanto sono incapaci. Scaricano sui lavoratori la loro insipienza. Il governo non potrà in alcun modo stimolare la crescita, se non riducendo i diritti. Sarà chiamato a tagliare ulteriormente la spesa pubblica. Il debito ha toccato a Novembre un nuovo record, sebbene abbia un tasso di crescita inferiore a quello del debito dell’Inghilterra, per esempio. Arriveranno nuovi tagli alla scuola e all’Università. Tagli alla sanità pubblica. Tagli agli enti locali che saranno a loro volta costretti a tagliare i servizi fondamentali. Un lavoro sporco che Berlusconi dovrà fare giocoforza, pena il fallimento dello Stato. E allora, pensate davvero che Fini e Casini, Bersani e Di Pietro abbiano davvero perso con il voto di sfiducia di martedì scorso?

The Berlusconi Show.

Anche oggi, una nuova puntata del vostro programma preferito, The Berlusconi Show.

Trama: davanti a milioni di persone riunite al suo cospetto, Silvio, interpretato magistralmente da Silvio Berlusconi, noto attore televisivo, ha decisamente respinto gli attacchi dei sinistrorsi per destituirlo dal potere conquistato legittimamente anni or sono, con la fatica e il suo duro lavoro di imprenditore. I sinistrorsi, che volevano estromettere le sue liste dalle prossime competizioni elettorali con blocchi di uomini armati sulle soglie degli uffici elettorali, sono riusciti con la violenza di cui sono capaci, a metter fuori il listino PdL a Roma. Allora Berlusconi, accompagnato dal fidato collega supereroe, l’Umberto, è salito sul grande palco di Piazza S. Giovanni intonando l’inno scritto in suo onore da un famoso cantautore napoletano, e ha detto che è nuovamente sceso in campo per salvare il paese dall’orda dei sinistrorsi e dai loro plotoni di giudici assassini, promettendo l’eden per tutti e persino una partecipazione a Il Milionario, altro broadcast televisivo fra i più famosi e seguiti.

Ma intanto, fra la folla, un balenare di Viola ha incuriosito il Ministro della Difesa Personale di Silvio, Ignazio La Russa. Chi sta tramando nell’ombra? Chi è quel volto senza volto che è comparso improvvisamente? Un brivido freddo corre per la schiena di La Russa. Si sbottona la giacca, lentamente. Accarezza la canna corta della sua Smith & Wesson.

PS.: No, The Berlusconi Show non è un nome di fantasia, ma il titolo di un documentario della BBC sul nostro eroe e più in generale sulla nostra deriva videocratica, anomalia fra le più interessanti nel panorama politologico europeo, che ispira l’occhio critico dei britannici. Il programma, off limits per l’Italia (chi si serve di un buon proxy che lascia abilitato il java, provi qui: http://www.bbc.co.uk/programmes/b00r8g99), dove neppur se ne parla sui giornali – è andato in onda ieri – racconta l’incredibile vicenda del tycoon nostrano, eletto per tre volte e per tre volte presidente del Consiglio, conservando la padronanza assoluta del mezzo televisivo, impiegato strumentalmente e in maniera scientifica per la formazione del consenso:

Nel suo documentario Mark Franchetti torna indietro negli anni per capire come diavolo ha fatto questo pagliaccio ad arrivare a guidare una democrazia europea del terzo millennio. A dire la verità, l’approccio di Franchetti va molto al di là di questo. Il giornalista intervista persone di vari schieramenti e punti di vista e osserva il contesto storico nel quale è avvenuta l’ascesa al potere di Berlusconi. Il controllo dei mezzi di comunicazione, i legami con la mafia, la corruzione, i rapporti con l’estrema destra, le forzature legislative, le escort, gli interventi chirurgici, le feste, le gaffes, lo scherzo ad Angela Merkel. Tutti aspetti e fatti già conosciuti, ma che non per questo smettono di lasciare lo spettatore esterrefatto a chiedersi: come diavolo è potuto succedere? Ancora e ancora. È stato eletto per tre volte. A un certo punto un giovane militante del Popolo della libertà dice: “Per 15 anni, gli italiani hanno appoggiato Berlsuconi attraverso elezioni democratiche. Ci sono due spiegazioni: o gli italiani sono tutti stupidi e non si rendono conto a chi hanno dato il loro voto o hanno semplicemente fiducia in lui”. Ma non è detto che le due possibilità si escludano a vicenda. La seconda potrebbe essere il risultato della prima. E il discorso non vale per tutti gli italiani, solo per molti di loro. O forse sono semplicemente molto indulgenti. In ogni modo, si tratta di un fatto allo stesso tempo affascinante e spaventoso (The Guardian).

In ciò, la sinistra, esce irrevocabilmente sconfitta. La sinistra è ai margini del mezzo televisivo. Poteva metter Berlusconi fuori dal sistema politico, non l’ha fatto. L’errore politico, strategico, sistemico, ha condannato la sinistra a emulare Berlusconi, a esserne contraltare, a condividerne l’immoralità e la pratica sporca della politica come scambio. E allora, se Berlusconi è la televisione, se esso è uno show, un reality che ci coinvolge tutti, basterebbe distruggere il tubo catodico, distruggerne il contenuto tossico, togliendo la maschera al pagliaccio, demolendo la scenografia dei cieli limpidi, con uno squarcio, un taglio, una ferita. E così si ritorna al punto di sempre: l’ipocrisia della menzogna, che può essere rotta solo con un atto di violenza. Una violenza riparatrice, sia chiaro. Una violenza che restituisce alla verità il suo posto nelle cose del mondo.

PS –  per chi sa prendere le misure:

Credits: Claudio Lucia

Il controllo dei mezzi di comunicazione, i legami con la mafia, la corruzione, i rapporti con l’estrema destra, le forzature legislative, le escort, gli interventi chirurgici, le feste, le gaffes, lo scherzo ad Angela Merkel. Tutti aspetti e fatti già conosciuti, ma che non per questo smettono di lasciare lo spettatore esterrefatto a chiedersi: come diavolo è potuto succedere? Ancora e ancora. È stato eletto per tre volte.

A un certo punto un giovane militante del Popolo della libertà dice: “Per 15 anni, gli italiani hanno appoggiato Berlsuconi attraverso elezioni democratiche. Ci sono due spiegazioni: o gli italiani sono tutti stupidi e non si rendono conto a chi hanno dato il loro voto o hanno semplicemente fiducia in lui”.

Ma non è detto che le due possibilità si escludano a vicenda. La seconda potrebbe essere il risultato della prima. E il discorso non vale per tutti gli italiani, solo per molti di loro. O forse sono semplicemente molto indulgenti. In ogni modo, si tratta di un fatto allo stesso tempo affascinante e spaventoso

Tartaglia, furia iconoclasta contro l’inganno della mimesis.

Il volto del Leader tumefatto, la fissità dello sguardo, la paresi della bocca, ieri a Milano: immagini di uno sfregio fatto all’icona dell’ambiguità. Lui, l’uomo che si è fatto da sé, o forse no, l’uomo che è portatore del nuovo, o forse no, l’uomo che rivoluziona la politica e fa di sé e del suo corpo l’essere stesso, l’incarnazione del potere, eccolo, immobile come può essere solo un monarca improvvisamente nudo davanti al popolo.

La molteplicità degli sguardi e degli atteggiamenti che egli porta con sé da anni allontanano il semplice ossevatore dalla verità storica dell’uomo e del politico. Il Berlusconi capo di famiglia, il Berlusconi donnaiolo, il Berlusconi tradizionalista, il Berlusconi rivoluzionario, il Berlusconi attentatore stragista, il Berlusconi pacifista, il Berlusconi filorusso e quello filoamericano, tutto questo disordine e questa sovrapposizione di voci ha finito per ispirare la mano di uno qualunque, uno che ha vissuto nell’anomia fino al giorno scorso, ma che conosceva bene i mille volti del suo antagonista. Tartaglia o Signor Nessuno, poco importa.

Ciò che ha fatto più danno al volto del (finto) premier è la sua stessa parola e la profondissima distanza dai fatti.

Perché se la parola vera, è franca, libera, allora colui che dice il vero disvela sé stesso. Non nasconde ciò che pensa. Attraverso la parola, l’uomo rende conto al mondo di sé stesso. E’ il socratico rapporto armonico fra logos e bios, l’armonia fra logos e praxis. La connessione fra parlare e vivere implica l’accordo fra le parole e i  fatti, poiché le parole senza il sostegno dei fatti sarebbero prive di senso. La parola libera non è solo opinione. E’ corrispondenza fra ciò che è detto e ciò che è fatto.

All’opposto, la minaccia della mimesis, ovvero della maschera, della riproduzione del vero, investe il logos, il contenuto, e la parola non è più disvelazione di se stessi. Essa è tradita, poiché è tradita l’unicità del parlante. Verità è disvelarsi con la parola senza voler essere qualcun altro. Colui che pratica la parola libera rende conto al mondo della verità su se stesso, di essere unico al mondo. E’ questo status ontologico dell’essere uno che interessa. La minaccia del bios come verità unica del parlante. La rottura operata dalla mimesis – l’imitazione, la pantomima – nell’unicità del parlante comporta il problema di doversi confrontare con una persona radicalmente frammentata, disorganizzata. Colui che esercita la mimesis non lascia dietro sé un’unica traccia. Il disegno che le sue azioni e le sue parole fanno di esso è confuso, non è una traccia, non è un disegno, bensì una molteplicità di segni di molteplici personalità non disvelabili pienamente.


– Io sono Oz; il Grande e Terribile Oz. Perché mi cercate? Si guardarono ancora intorno nella sala e, non vedendo nessuno, Dorothy domandò: – Dove sei? […] Tutti guardarono da quella parte e rimasero semplicemente allibiti. Perché proprio nell’angolo che il paravento aveva tenuto nascosto, stava un ometto piccolo, calvo e rugoso, dall’espressione attonita non men che la loro. […] – Credevo che Oz fosse una enorme testa, – mormorò Dorothy (L. Frank Baum, Il mago di Oz).
Il Mago di Oz non è una enorme testa, non è un Mago, non è un Mostro di cui aver timore: quando il Mago di Oz disvela di non essere ciò che dice di essere, allora il Leone e il Boscaiolo di Latta si scagliano su di lui. Questo ispira la mimesis, questo ispira l’infinita ipocrisia del parlante che non è vero poiché non è unico ma duplice e perciò minaccioso. La violenza come ultimo atto di verità nella torbida miscela di rappresentazione e imitazione che infesta la sfera pubblica.