Caso Sallusti, un Betulla non vale un Dreyfus

Ha fatto lavorare un giornalista radiato, una spia, un agente del servizio segreto. Ha pubblicato un articolo in cui il famigerato Dreyfus, alias Renato Farina, scrive delle falsità, anzi, diffama gravemente un magistrato, tale Giuseppe Cocilovo. Quest’ultimo, quando la causa era ancora pendente presso la Procura della Repubblica, aveva banalmente chiesto una rettifica, quindi in seguito un risarcimento di ventimila euro. Sallusti ha rifiutato. Sallusti non ha mai nemmeno rivelato l’identità del giornalista occulto. Farina ha fatto outing stamane, alla Camera dei Deputati, svegliata in gran fretta per parlare del caso. La “confessione” ha naturalmente acceso il dibattito fra i giornalisti su Twitter:

Farina infame? E Sallusti? Il Direttore ha protetto il suo anonimato ad oltranza. E’ normale che un Direttore di giornale faccia lavorare un giornalista radiato? La domanda è retorica. Ci siamo indignati contro una macchina giuridica senza pietà, che schiaccia la libertà di opinione e mette in galera chi ha semplicemente espresso un’opinione. La realtà non è questa. E’ pur vero che le norme del Codice che regolano la libertà di stampa sono antiquate e che la galera applicata ai reati d’opinione è fortemente intimidatoria. Ma qui ci troviamo di fronte a un ex giornalista che, sotto uno pseudonimo, continua ad esercitare la professione che gli è stata negata in quanto uomo al soldo del servizio segreto (caso Pio Pompa).

Dice Farina di avere ubbidito. Si accordava con Pompa. Era “preparato” da Pompa. Era pagato da Pompa. Trentamila euro in due anni. Sempre in contanti, sempre dietro ricevuta. Qualche volta firmata “Betulla”, qualche volta “Renato Farina”. Denaro per le spese vive. Gli aerei, i soggiorni. Non che potesse aggravare il giornale, “Libero“, dei costi del suo lavoro doppio […] E’ Pompa che gli consegna quel dossier che dovrebbe inchiodare Romano Prodi agli accordi Europa-Stati Uniti che consentono i voli degli aerei “coperti” della Cia. E’ un falso. Farina lo pubblica (repubblica.it).

Farina diffamò Prodi su richiesta del servizio segreto (falso caso dell’appoggio di Prodi alle extraordinary renditions dell’era George W. Bush). Per questa ed altre falsità, Farina fu cacciato dall’ordine dei giornalisti. Vittorio Feltri – sì, lo stesso uomo che lo ha pubblicamente accusato di essere l’anonimo Dreyfus del caso Cocilovo – gli ha permesso di continuare a scrivere per il giornale Libero per ben due anni. Feltri si guadagnò così sei mesi di sospensione dall’ordine. Secondo Feltri, Farina doveva continuare a scrivere “in base alla Costituzione, che consente fino ad ora la libera espressione del pensiero” (Wikipedia). E’ libera espressione del pensiero quanto scritto da Farina sul caso Cocilovo? E Sallusti poteva permettere che un giornalista radiato e pagato per mentire continuasse a scrivere notizie false sulle colonne del giornale da lui diretto? Perché sia Feltri che Sallusti hanno tenuto Farina al proprio posto pur sapendolo corrotto?

L’art. 57 del codice penale, lo stesso codice penale applicato nel caso  Ruby (nota per Travaglio, n.d.r.), impone al direttore di controllare l’attività dei giornalisti per evitare che un reato si verifichi: nel giornale da lui diretto – si chiama per questo “responsabile” – chi scrive non può fare quello che gli pare, ma deve attenersi a determinate regole di correttezza, verità, continenza e il direttore ne è il garante. Se il direttore se ne infischia,   o chiude un occhio o abbozza un ghigno di fronte allo sciacallo che si appresta a macellare di fronte a centinaia di migliaia di lettori una persona perbene sia  un giudice onesto sia un signor nessuno, allora la responsabilità – per niente oggettiva – è, anche,  sua. Non come autore del reato ma per aver violato il suo obbligo di controllo, permettendo così lo scempio.  Doveva controllare, e non lo ha fatto, doveva evitare il danno e non lo ha fatto: una menzogna è stata diffusa e invece doveva restare chiusa nella balda mente del suo autore (youreporternews.it).

Un agente Betulla non può esser nemmeno lontanamente accostato al caso Dreyfus.

Hanno ucciso l’uomo calvo – dalla prima pagina de Il Giornale

 

Tutto mi sarei aspettato, tranne che di scrivere questo articolo. Mi tremano le mani sui tasti della Olivetti. Così comincia l’articolo di prima pagina del condirettore de Il Giornale, Vittorio Feltri. La vicenda è relativa ad una causa per calunnia esercitata da un giudice, tale Giuseppe Cocilovo, per un articolo comparso su Libero quando di Libero Sallusti era direttore responsabile. L’autore del pezzo firmò con uno pseudonimo, ma per il giudice a pagare deve essere il direttore responsabile. Il quale venne condannato in primo grado alla pena pecuniaria di cinquemila euro la quale, in secondo grado, fu tradotta in pena detentiva per un anno e due mesi. Il 26 Settembre si terrà l’esame di regolarità formale da parte della Cassazione. Come saprete, la Cassazione non entra nel merito della sentenza di secondo grado ma semplicemente si esprime sulla regolarità del procedimento. Quindi Sallusti rischia la galera. Questo perché a Sallusti non si applicherebbe la sospensione della pena per gli incensurati, in quanto egli ha già ricevuto condanne per diffamazione o calunnia. Naturalmente Feltri si spertica in un lungo j’accuse contro la democrazia italiana e contro le leggi sulla stampa: “siamo l’unico paese occidentale in cui i reati a mezzo stampa sono valutati dalla giustizia penale anziché da quella civile”. I colpevoli di tutto ciò? Non è con i magistrati che Feltri intende polemizzare ma con quei “dementi” che dopo sessanta anni tengono in vita – “per accidia e menefreghismo” – un pezzo del Codice Fascista.

Una sola osservazione ho da fare: il carissimo direttore emerito de Il Giornale si accorge solo ora che la normativa italiana sulla stampa è fortemente illiberale. Quando alcuni dei suoi amici politici, per i quali ha scritto sinora lunghe e noiose agiografie acritiche (almeno prima che defenestrassero Silvio da Palazzo Chigi e prima che il vento dell’anticastismo soffiasse così forte anche in Via Negri), intendeva estendere quelle assurde regole anche al web e soprattutto ai blog, non mi pare che Feltri avesse gridato allo scandalo della democrazia italiana. Ricordassero, lui e il suo compare calvo, questi aspetti e queste regole repressive quando pigiano i tasti delle loro vetuste Olivetti. E facessero un mea culpa sul pessimo giornalismo di cui sono autori.

Il de profundis di Pansa e Ferrara per Berlusconi

Non basta rievocare tutto il passato per deglutire il rospaccio della sconfitta di domenica scorsa. Tutti i pennivendoli della Casa Madre stanno alzando le mani dinanzi alla strategia suicida del duo Sallusti-Santanché che guida l’armata milanese dei Moratti e dei Lassini.

I segni della crisi cominciano a percolare anche sulla superficie uniforme de Il Giornale. Oggi Giuliano Ferrara si è lasciato andare ad uno sconsolante editoriale in cui dice apertamente che la strada intrapresa è sbagliata e che non ci sono parole a sufficienza perdescrivere il disagio:

se la strada è quella dell’invadenza arrogante a reti unificate, del monologo che umilia gli interlocutori e gli elet­tori, del semplicismo e del ba­by talk arrangiato, sciatto, po­veramente regressivo, mi man­ca il fiato […] Perché farsi del male con parole d’ordine primitive, giocando irrespon­sabilmente la carta dei cosid­detti «valori conservatori» in una offensiva lanciata da gen­te di governo contro «gay e drogati», una caricatura del motto Dio-patria-e-fami­glia, quando quella carta è sempre stata pudicamente scartata quando si doveva giocarla con sensibilità e in­telligenza nelle occasioni giu­ste e per motivi giusti? […] Vedo in questa deriva la vit­toria dell’avversario di tutti questi anni, e di quello più in­carognito e miserabile. Farsi simili alla caricatura che il ne­mico fa di te è il peggiore erro­re possibile per un leader po­litico. È l’errore che può ca­gionare «l’ultima ruina sua», che lo isola con le tifoserie, che ne avvilisce l’indipen­denza intellettuale e di tono, la credibilità personale (Giuliano Ferrara per Il Giornale).

Insomma, si sente puzza di sconfitta. Una sconfitta inaspettata che sta gettando nel panico e inducendo agli errori più stupidi, come cedere alla violenza e alla caricatura della violenza. Gli argomenti per spiegare ai lettori del centrodestra la disfatta sono esauriti. Lo confessa candidamente Vittorio Feltri, in risposta al fondo di Giampaolo Pansa, su Libero. “Mi piacerebbe avere degli argomenti per ribattere punto su punto a Giampaolo Pansa”, scrive l’inventore del metodo Boffo, “ma ho solo una lunga lista di attenuanti” (L’editoriale – Libero, Vittorio Feltri – Libero-News.it). La sconfitta parte proprio da qui: dalla mancanza di parole. Anche la difficoltà nel descrivere quel che accade è testimonianza di una povertà che è prima di tutto lessicale e ideale. Pansa torna ad evocare il 25 Luglio 1943, data in cui il Gran Consiglio del Fascismo dimissionò il Duce. Pansa sbaglia. Il voto di Milano non produrrà un altro Piazzale Loreto. Tanto più che i milanesi si accingono ad esercitare il loro diritto di autodeterminare il governo cittadino. Nulla di più pacifico. Metaforicamente, è vero, la sconfitta milanese, se mai avverrà, equivale come portata storica a una Caporetto. Una Waterloo. Il nostro Napoleone cadrà alla campagna di Russia. Ma non c’è da sorprendersi, basterebbe saper perdere. E riconoscere che è giunto il tempo per farsi da parte:

Berlusconi è il più anziano tra i tanti capi di governo europei. Alla fine di settembre compirà 75 anni, che non sono pochi anche per uomo energico e di grande vitalità come è lui […] La forza fisica diminuisce. La lucidità si appanna. C’è chi diventa apatico e chi litigioso, condizioni entrambe rischiose […] la domanda da fare è un’altra: che centro-destra può essere quello guidato da un uomo che si ostina a ritenersi indispensabile […] Anche se gli eredi giusti esistono, a cominciare da Giulio Tremonti. Berlusconi non vuole sentirne parlare. Ma allora non resta che il bunker, l’ultima ridotta, la trincea della disperazione. Sono tutte vie di fuga suicide, come ci dimostra la storia. Nel bunker non si vive, si sopravvive. Soprattutto in una fase delle vicende mondiali dove tutto muta con la velocità della luce […] Mentre la Prima Repubblica stava agli sgoccioli, un politico di insuperabile cinismo, Giulio Andreotti, a proposito di un suo ennesimo governo disse: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Era diventato il motto di quell’epoca. Sappiamo tutti come è finita (Giampaolo Pansa, Milano o Napoli, importa poco o nulla: Silvio è cotto e la colpa è soltanto sua  Libero-News.it).

Non è solo una questione anagrafica. E’ chiaro a tutti che è finita. Lo sa anche lui. Sa che il suo tempo è arrivato. Ma non ci pensa un secondo di lasciare. Andrà a fondo e la colpa sarà soltanto sua.

Montecarlo e il ruolo della Farnesina: chi ha raccomandato Corallo?

La scorsa settimana, Corrado Formigli, nel corso della puntata di Annozero, ha rivelato che il nome di Francesco Corallo è stato proposto come Console Onorario di Sint Maarten in una serie di email intercorse fra la Farnesina e il Console di Miami, tale Marco Rocca. Il quale, indagando su Corallo, venne a conoscenza della parentela sconveniente (il padre Gaetano, condannato per associazione a delinquere). Tanto che rispose picche. Formigli rese noto che, nei giorni delle pressioni fatte dalla Farnesina, la moglie di Rocca ebbe un “incidente” automobilistico (l’auto andò a fuoco). Un atto intimidatorio contro il console, ultimo baluardo della legalità della diplomazia italiana? Il giorno dopo lo scoop di Formigli, Frattini annunciò un’indagine interna sull’intera procedura eseguita.

Durante la settimana, quelli de Il Giornale e di Libero si sono arrovellati per far ricadere il sospetto della raccomandazione non già su Frattini, come verrebbe facile pensare, ma su Gianfranco Fini, ex ministro della Difesa nel precedente governo Berlusconi. Tanto che Feltri e soci scovano una copia delle email mandate al Console di Miami. Queste email sono state inviate dal Segretario Generale della Farnesina, Giampiero Massolo. E Massolo, secondo Libero, sarebbe un funzionario della diplomazia italiana appartenente alla “filiera” finiana. Massolo ha fatto pervenire una lettera a Libero in cui smentisce l’apparteneza a questa o a quella corrente politica. Poi aggiunge:

La segnalazione circa l’aspirazione di Corallo mi è pervenuta, tra le tante che ricevo in ragione del mio incarico, da persona che conosco da tempo, che non ha alcun rapporto con la politica, né tantomeno con ambienti legati al presidente Fini (Libero, 13/10/2010, pag. 6).

Ergo, la ricostruzione fatta da Libero è frutto di invenzione. D’altronde, il curriculum di Massolo, funzionario della Farnesina di lungo corso, è limpido oltreché lunghissimo (comincia nel 1978). E’ dal 2008, fra le altre cose, Sherpa del G8. Viene nominato Segretario Generale il 12 settembre 2007: la massima aspirazione per un diplomatico. Perché dovrebbe compromettersi per una raccomandazione, un “favore” ad un amico che non è neanche in politica? Massolo rivela che lo scambio di email è durato non più di qualche giorno, e non c’è stato spazio per i dubbi sulla reputazione di tale Corallo.

Quindi? Molto rumore per nulla? Libero e Il Giornale hanno cercato timidamente di rigirare il bubbone Corallo-slot machine contro Fini. Ma il colpo gli è rimasto in canna. Massolo non è finiano poiché a Fini non deve alcunché: la sua carriera era già una carriera di vertice all’interno della Farnesina. E la pista Saint Lucia si è completamente sfaldata. Come mai Il Giornale e Libero non approfondiscono il caso del documento del ministro della Giustizia di quell’isola? E come mai Lavitola è uscito di scena?

Il Giornale vs. Marcegaglia: ecco le telefonate fra Porro e Arpisella

Rispondente al sondaggio di Yes, political!:

Il Fatto Quotidiano pubblica l’audio delle telefonate intercorse fra Porro e Arpisella. Ascoltate:

Saint Lucia, o l’isola che non c’è: ma chi è il ministro che indaga su Tulliani?

Oggi, era circa l’una, ho avuto una folgorazione: ma se cerco su Google Saint Lucia, che salta fuori? La pagina di Wikipedia, per esempio, che spesso può essere di aiuto per avere una conoscenza rapida ma superficiale di un po’ di tutto, compreso il caso Tulliani-Fini-Il Giornale. Innanzitutto:

Santa Lucia è una nazione insulare nel Mar dei Caraibi orientale, sul confine con l’Oceano Atlantico. Fa parte delle Piccole Antille e si trova a nord delle isole di Saint Vincent e Grenadine e a sud della Martinica. Fa parte del Commonwealth dal 22 febbraio 1979 (Wikipedia).

Penso che stiamo parlando della stessa Saint Lucia, no? Caraibi, Piccole Antille. Paradiso della natura e paradiso fiscale.

L’aumento della concorrenza latinoamericana nell’esportazione delle banane e i recenti cambiamenti nella politica di importazione dell’Unione Europea hanno fatto della diversificazione dell’economia una necessità sempre più impellente per Santa Lucia. L’isola è perciò stata in grado di attrarre investimenti dall’estero, specialmente nel campo dell’offshore e del turismo (con quest’ultima attività che rappresenta la principale fonte di guadagno per l’isola) (Wikipedia, cit.).

Ecco, off-shore. Per i patiti è il termine con cui si indica una società registrata in base alle leggi di uno stato estero, ma che conduce la propria attività al di fuori dello stato o della giurisdizione in cui è registrata. Berlusconi e Mills ne dovrebbero sapere qualcosa. Quindi si tratta della stessa isola. L’isola dei Tulliani. Il cui Capo di Stato si chiama niente meno che Elisabetta II Regina d’Inghilterra. Il paese ha quindi, nella tradizione della common law, un governo costituzionale con premier il leader del partito che ha vinto le elezioni.

Il potere esecutivo spetta al primo ministro e al suo gabinetto. Il primo ministro coincide solitamente con il leader del partito che ha vinto le elezioni per la House of Assembly (la “Camera dei Deputati” locale), che è composta da 17 deputati. L’altra camera, cioè il Senato, ha invece 11 membri (Wiki, cit.).

Il nome del premier di Saint Lucia è Stephenson King. Invece, quello che segue è il sito del governo di Saint Lucia. Perché Saint Lucia, come tutti i paesi che si rispettino, ha un sito in cui pubblica documenti e informazioni sull’attività del governo:

Government of Saint Lucia

Date un’occhiata al simbolo in alto a sinistra: trattasi dello stemma dello Stato di Saint Lucia. Esso coincide con il simbolo presente sul documento fornito dai due giornali dominicani, ripreso poi da Dagospia e Il Giornale come l’atto che incastra definitivamente il cognato di Fini. Guardate voi stessi:

Secondo il Listin Diario e El Nacional, la lettera qui sopra sarebbe stata inviata dal neoministro della giustizia Lorenzo Rudolph Francis al premier Stephenson King. Una missiva altamente confidenziale relativa al caso Tulliani-Fini, uno scandalo che può produrre “una potenziale pubblicità negativa” per lo Stato di Saint Lucia. L’allarme sembra esser preso sul serio, poiché questa campagna di stampa metterebbe in cattiva luce il paese, attento com’è a rispettare le legislazioni internazionali in fatto di società off-shore.

Lorenzo Rudolph Francis è effettivamente il neoministro della Giustizia di Saint Lucia. Lo è diventato lo scorso 16 Luglio quando Nicholas Frederick ha rassegnato le dimissioni:

Mr. Francis is a practicing Barrister, who holds a Bachelor of Laws (LLB) degree, a Masters degree (LLM) in Tax and Corporate Law, a B Sc (Economics and Accounting) and a Post Graduate Diploma in Management.  He also has had many years of public service experience particularly in the Ministry of Finance, Inland Revenue Department.  He will therefore also be a valuable addition to Government’s economic team (StLucia News Online).

Francis è un avvocato. Gode della stima del suo premier, a quanto pare. Il sito del governo di Saint Lucia non è aggiornato. Quindi? Ho preso un granchio? Sì, è vero, ma non sono il solo… (vedi qui). Ma certamente non demordo. Continua la caccia alla patacca. Per esempio, quella che segue è l’immagine del documento come pubblicata da Il Giornale:

L’indirizzo nella intestazione corrisponde a quanto scritto nel sito del Governo di Saint Lucia: Attorney General’s Chambers and Ministry of Justice, 2nd FL, Francis Compton Bldg, Waterfront, Castries,  Saint Lucia, West Indies. E la parte che riguarda i recapiti, in alto a sinistra, pare identica: Telephone : (758) 468-3200, Fax : (758) 458-1131, Email : atgen@gosl.gov.lc; a me pare che siano infomazioni che si possano copiare facilmente. A voi?

Intanto Italo bocchino e Carmelo Briguglio indicano in Valter Lavitola l’autore della patacca. Lavitolaè in politica dal 1984 con il PSI, dove gli vengono affidati incarichi a livello nazionale ed internazionale. Si occupa da sempre di sviluppo sostenibile. Aderisce al partito di Forza Italia nel 1994. E’ Segretario Generale del Comitato Interparlamentare per lo Sviluppo Sostenibile. Poi imprenditore nel campo dell’import-export, delle costruzioni e dell’editoria. Anche Presidente nazionale della F.I.P.E.D. (Federazione Italiana Piccoli Editori). Lavitola è Sole administrator della International Press Soc Coop. Ma qualsiasi verifica su questa società editoriale mi risulta estremamente difficile.

Intanto stasera Dagospia ammette che fare un falso con l’intestazione del Governo di Saint Lucia è un gioco da ragazzi. Aprite questo link: http://www.slugovprintery.com/samples.php?sample=printingServices/letterHeads/AttorneyGeneral.jpg

Sì, è proprio la carta intestata dell’Attorney General Chamber’s. Ma differisce dal documento patacca per numerosi particolari, in primis il carattere utilizzato. Osserva Dagospia:

il passaggio fondamentale è un altro e Aimable ce lo spiega involontariamente: se la NPC non fornisce carte digitali modificabili, perché sul documento pubblicato da Libero e da il Giornale compare un hyperlink sotto l’indirizzo di posta elettronica dell’ufficio del ministro? In una carta intestata, quella scritta non dovrebbe esserci. A rigor di logica questo significa solo una cosa: che il documento è stato composto al computer, ma non su quella carta.

Hyperlink non deve esserci. Segno che il documento è stato fatto al pc. Ovvero è un falso. Fine della storia?

Valter Lavitola, 38 anni, sposato con un figlio, laureato in Scienze Politiche.
Direttore ed editore del quotidiano “Avanti!”.
In politica dal 1984 con il PSI, dove gli vengono affidati incarichi a livello nazionale ed internazionale. Si occupa da sempre di sviluppo sostenibile.
Aderisce al partito di  Forza Italia nel 1994.
Segretario Generale del Comitato Interparlamentare per lo Sviluppo Sostenibile.
Imprenditore nel campo dell’import-export, delle costruzioni e dell’editoria.
Presidente nazionale della F.I.P.E.D. (Federazione Italiana Piccoli Editori).

La patacca di Dagospia e Il Giornale: un falso ministro della Giustizia?

Oh, oh… Feltri e Dagospia ci sono ricascati. Ma il ministro della Giustizia di Saint Lucia non è L. Rudolph Francis? Così secondo il famigerato documento pubblicato dai nostri eroi.

Ma sul sito del Governo di Saint Lucia il nome è un altro:

Senator The Honourable Dr. Nicholas Frederick
Attorney General and Minister for Justice

O sbaglio? Leggete questo sito: http://www.stlucia.gov.lc/index.html

Feltri, facce ride’

Il Giornale ha fatto lo scoop, ha pubblicato la prova delle prove, ha incastrato Gianfranco Fini alle sue colpe. Lui e Tulliani hanno comprato una cucina a soli 4.523 euro. Si vergognino!

Il tanto atteso giorno della pubblicazione dei documenti che testimonierebbero il pieno coinvolgimento di Fini nell’affaire Montecarlo è arrivato. Una delusione per chi si aspettava grandi rivelazioni. Nel documento si legge il nome Tulliani. E basta. La modica somma spesa – per una cucina è un prezzo bassissimo – e null’altro. Feltri fa ridere. Sul sito web hanno specificato che – guarda caso – il mobilificio non ha curato il trasporto dei mobili acquistati. Quindi, Feltri è stato pescato con la pistola fumante; lui, non Fini. La fattura, di per sé, non spiega niente. Dimostra soltanto che Tulliani ha comprato una cucina economica. Volerla impiegare come prova per smentire Fini è semplicemente sciocco. Una riprova di quanto detto ieri su questo blog: punire Fini sulla questione della legalità è strumentale alla difesa di Berlusconi e del governo, avviluppato nella spirale della corruzione. Che pena.

Tutte le immagini dei documenti pubblicati oggi da Il Giornale: qui.

Il Giornale vs. Fini: il metodo del ‘così fan tutti’

Poche parole per liquidare – definitivamente? – il caso della casa a Montencarlo di Fini-Tulliani. Ricordate Boffo? Lo scorso anno il finto scoop di Feltri servì a liquidare il direttore de L’Avvenire, non già perché reo di lesa maesta nei confronti di Berlusconi – troppo timide le critiche de L’Avvenire sullo scandalo sessuale di Papi-Noemi – bensì perché il suo “profilo” si prestava per essere sacrificato sulla pubblica piazza al grido di così fan tutti:

Il direttore de Il Giornale sottolinea poi che all’epoca, «un periodo di fuochi d’artificio sui presunti eccessi amorosi di Berlusconi», venne giudicato interessante il caso Boffo «per cercare di dimostrare che tutti noi faremmo meglio a non speculare sul privato degli altri, perché anche il nostro, se scandagliato, non risulta mai perfetto. Poteva finire qui» (Feltri ci ripensa: Boffo va ammirato – Corriere.it).

Chiaro e lineare. Si tratta di manipolare il dibattito pubblico al fine di salvaguardare Berlusconi dallo scandalo di turno. Ieri il sesso, oggi la corruzione che dilaga nel governo. C’è una tesi e una linea comune da perseguire, anche attraverso altri media o fonti di informazione. Solo in questi giorni si è parlato dello yacth di Vasco Rossi o di Massimo Boldi. Pensate che a Ferragosto le Fiamme Gialle siano doppiamente operative? La notizia fa parte del quadro che vi vogliono vendere: così fan tutti. Tutti evadono le tasse, tutti hanno truffato sull’acquisto delle case, tutti sono corrotti, più o meno come Berlusconi. Anche il nostro privato, se scandagliato, non è perfetto. Lui ha finanziato Provenzano? Pazienza, anche voi nel vostro piccolo avete favorito qualche prepotente di turno. Avete chiuso un occhio. Siete, persino voi, un po’ come B. Rassegnatevi.

Poi ci sono tutte le ragioni politiche: dividere i finiani in primis. Oggi Il Giornale ha avvisato che nel numero di domattina saranno pubblicate le fatture che dimostrano l’acquisto dei mobili da parte di Fini e Tulliani per la casa di Montecarlo. Peccato che oggi l’azienda dei mobili chiamata in causa abbia smentito:

La società Castellucci Maria Teresa, con esercizio in Roma via Aurelia Km 13,400, in relazione alle notizie di stampa apparse su alcuni quotidiani precisa di non aver mai effettuato trasporto o montaggio di mobili acquistati presso il proprio esercizio da Roma a Montecarlo, nell’interesse di Elisabetta Tulliani o suoi familiari o dell’onorevole Fini (L’Unione Sarda.it).

La prova provata non c’è? Scommettete che la prima pagina de Il Giornale di domani offrirà delle sorprese? Per esempio, un’improvviso cambio di rotta sul caso Montecarlo?

Il Giornale, Fini e la casa a Montecarlo: un caso di trollismo cartaceo?

Quella canaglia – metaforicamente parlando – di Vittorio Feltri sbatte in prima pagina la Questione Morale. Non Verdini, non Carboni né Dell’Utri; non Scajola, non Cappellacci, non Caliendo: questi sono perseguitati da giudici pazzi – così il titolo di spalla – che inventano teoremi di inesistenti logge P3 quando invece – lo dice il titolo dell’articolo di fondo – la vera lobby è quella di PM e Sinistra, i grandi spettri berlusconiani.

C’è da riflettere se non sia il caso di attribuire a questo genere di giornalismo pattumiera il nome di “trollismo cartaceo”. Sì, Feltri al pari di quegli utenti di Facebook che creano pagine in cui si attaccano i gay piuttosto che i disabili o i bambini down. Fesserie scritte al solo scopo di fare rumore, con l’obiettivo di deviare l’attenzione o imporre un unico punto di vista politico; fesserie per colpire un nemico politico. Qualcosa di simile si faceva in Unione Sovietica negli anni trenta del secolo scorso, e si chiamavano purghe.

Quella sporca dozzina de ‘Il Giornale’: Fini all’attacco di Feltri

Continua l’offensiva mediatica di Gianfranco Fini. Oggi la tappa a SkyTg24, nautralmente passata sotto silenzio dal media di riferimento del governo, ovvero il Tg1. Eppure, il reprobo Fini si è cimentato in una replica del suo repertorio preferito, il ‘controcanto’, esordendo con la frase sibillina, “Non credo che in una democrazia ci sia mai troppa libertà di stampa”. Poi, tronfio di gloria, fa spaere di aver scoperto il gravissimo conflitto d’interesse che alberga nel governo – con brevi pause e anche con la sua complicità ora forse rinnegata- da quindici anni. Eh sì, l’esponente della destra liberale ex o post fascista che sia, ha denunziato alla pubblica opinione l’evidenza del “conflitto di interessi in cui si trova l’editore de ‘Il Giornale'”. Ma guarda.

L’editore – afferma il presidente della Camera – ha ritenuto che fosse molto, molto importante avvalersi di uno staff che fa vendere migliaia di copie…». Poi, a proposito del direttore del ‘Giornalè, Fini ribadisce che questo usa la «penna come se fosse una clava» […] ha ammesso pubblicamente di essere consapevole dei problemi politici che quel giornale ha determinato, basti pensare alla vicenda Boffo […] da un lato c’è l’interesse dell’editore, dall’altro c’è l’interesse del presidente del Consiglio, che sono nella stessa famiglia […] è un caso di conflitto di interessi (Fini: in una democrazia la libertà di stampa non è mai troppa – Italia – l’Unità.it).
Un caso isolato? verrebbe da chiedersi. Un caso nato ieri? Un caso limitato alla sola carta stampata? Forse il Presidente della Camera difetta di coraggio. Perché se deve parlare di conflitto di interesse, allora lo faccia sino in fondo, denunciando l’occupazione politica della Rai, per esempio, l’uso politico degli organi d’informazione della prima rete Rai, la censura dei talk show durante le ultime elezioni regionali. Dica chiaramente che l’attuale testo del DDL Intercettazioni è profondamente anti-liberale e teso a far calare la scure della censura sulla cronaca giudiziaria. Perché se non ha il coraggio di farlo, allora si prepari a esser colpito e affondato definitivamente dallo stesso sistema che pretende di combattere. Poiché nelle gallerie sotterranee di Palazzo Grazioli, qualcuno si sta muovendo:

Raccontano da Palazzo Grazioli che alcuni giorni fa, stufo delle solite critiche, ha deciso di non rimanere oltre con le mani in mano e di voler cominciare a capire come limitare, sul piano della battaglia culturale, il terreno d’azione di quel fastidioso circolo, iniziando dalle fonti di approvviginamento. Per questo, adottando uno schema già usato tempo fa in occasione dell’appello agli inerzionisti a tener presente il tasso di “negatività” delle testate sulle quali comprare o meno pubblicità, ha domandato che sul suo tavolo venisse portata la lista degli imprenditori che contribuiscono alla fondazione presieduta da Adolfo Urso […] Berlusconi vuole vedere, scritti nero su bianco, i nomi dei non pochi uomini di impresa che sostengono il think tank del presidente della Camera, e magari cercare di capirne le ragioni, per verificare se, anche di fronte alla svolta antiberlusconiana del cofondatore Pdl, siano o meno ancora intenzionati ad aiutare un pensatoio che ogni giorno di più si dimostra la spina nel fianco del governo (Rubriche – l’Unità.it).

Fini-Berlusconi, le reazioni dei giornali del Padrone

Il giorno dopo l’ostensione delle divisioni in seno al PdL, gli house organ di casa Berlusconi & affini, ovvero Il Giornale e Libero, aprono con le ceneri di Fini, a proprio dire uscito sconfitto dalla Direzione Nazionale di ieri:

Il Giornale di Feltri annuncia la vittoria di Berlusconi su Fini (?). Solo Filippo Facci, il redivivo, commenta beato, che belli quei ‘vaffa’. L’elogio dello sproloquio non trova però altri estimatori: spazio ai ‘ora si deve dimettere’, ‘solo 11 con lui’, ‘Gianfranco non sa cosa vuole’ (chiunque abbia ascoltato il discorso di Fini di ieri ha potuto apprezzare le critiche circostanziate che egli ha rivolto al (finto) premier, quasi una sorta di requisitoria).

Libero, che non è di proprietà diretta di Berlusconi (ma che è pur sempre nella sua piena disponibilità), bensì degli Angelucci, imprenditori della sanità romana, molto vicini a tutti i politici disposti a sostenerne gli interessi, annuncia il degrado del generale Fini da leader a caposquadra:

Eh sì, il PdL ha votato quasi all’unanimità un documento contro il Presidente della Camera: e non poteva esser diversamente, visti i numeri della Direzione Nazionale.

Ma per coloro i quali si fossero persi il discorso di Fini, eccolo riproposto da youtube, così ognuno può verificare da sé medesimo la presunta vacuità delle critiche di Fini al centralismo carismatico di Berlusconi (una piccola annotazione, Fini non ha usato il termine ‘centralismo democratico’ di leninista memoria, bensì quello di ‘centralismo carismatico’ proprio della tipologia di leadership ascrivibile al totalitarismo stalinista):

Schizzi di fango: la macchina del tritacarne politico. Con il caso Marrazzo il potere si fa violenza.

Un’altra interpretazione del caso Marrazzo, questa, che riprende le intuizioni di Santoro a Annozero e capovolge le suggestive analisi de L’Unità di stamane, riprese da Yes,political! pur non senza qualche dubbio. Oppure, viceversa, le due narrazioni sono collegate. Solo riferite a tempi diversi.
In ogni caso, Repubblica si rifà al modello classico della purga mediatica, quella per così dire alla Watergate. Travaglio ne ha già fatto un altro post molto significativo che specifica meglio le date e prova ardite – ma neppure tanto – sovrapposizioni fra il caso Marrazzo e l’avvicendamento dei direttori al Giornale e a Libero (Feltri in cambio di Belpietro).
La trama vede gli interessi contrapposti, gli editori in conflitto d’interesse, la Tosinvest di Angelucci, editrice di Libero (le giornaliste che entrano in contatto con Cafasso sono guarda caso di Libero), Mondadori e Mediaset, ovviamente, sulle quali agisce incontrastato Alfonso Signorini. Il Deus Ex Machina della stampa scandalistica in Mediaset. Si dice che sia lui a governare tutta l’editoria di Mr b. Lui il fornitore di dossier al veleno. E Angelucci è pure il magnate della sanità privata nel Lazio. Guarda caso Marrazzo era il commissario straordinario alla sanità, nel Lazio. Tolto lui, tolto l’impedimento?
Quel che pare evidente è l’assenza di qualsiasi remora: il video arriva a Milano e viene fatto oggetto di trattativa. L’unico loro dubbio è dove, non se pubblicarlo. I carabinieri gli hanno sottratto il colpo in canna e ora forse riusciranno a ricostruire tutta la vicenda. Fatto è che Marrazzo era scomodo per molti. E molti sapevano delle sue debolezze. E’ bastato poco per metterlo spalle al muro e tirargli già i pantaloni.
Questa macchina del tritacarne politico ha molto a che fare con le purghe staliniste: espone al pubblico ludibrio, mette alla sbarra della moralità con capi d’accusa inventati o estorti con la forza. Loro usano il processo mediatico come l’olio di ricino. Usano la purga per ripulire dagli oppositori, o per ammorbidirli e tenerli sotto scacco.

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    • Le cose stanno così. Quei carabinieri che aggrediscono Piero Marrazzo in un appartamento privato, in compagnia di un viado, non sono canaglie a caccia di un bottino.

    • Non stanno preparando un’estorsione contro il governatore. Stanno raccogliendo il "materiale" per un ricatto che sarà utilizzato da altri, in altro modo, in un’altra città, con un altro obiettivo da quello del denaro

    • Sono canaglie che forse bisognerà cominciare a definire rat-fuckers, come si chiamavano tra loro, orgogliosi, gli operativi dell’affare Watergate

    • Schiacciano con violenza Marrazzo contro un muro. Lo obbligano a calarsi i pantaloni. Lo fotografano. Trasferiscono il video a Milano.

    • E’ Milano, con la sua industria editoriale, la scena del delitto

    • è solo lì che quelle immagini possono trovare la mano che le pubblica

    • Che cosa succede? Qualcosa che – niente di più, niente di meno – si può leggere nei manuali di un "assassino politico"

    • Il political hitman deve uccidere ma non lasciare la sua impronta. Così si deve "provocare una fuga di notizie verso i media rimanendo al di fuori della mischia mentre l’avversario viene tempestato da rispettabili giornalisti"

    • Accade nel nostro caso. Le immagini vengono proposte a Oggi. La direzione (Andrea Monti, Umberto Brindani) le rifiuta. Bisogna venire allo scoperto, allora. Accettare il rischio di compromettersi. È questo il momento in cui la scena s’illumina e appaiono al proscenio i protagonisti, le comparse, il mattatore

    • Nel primo atto, il protagonista assoluto è Alfonso Signorini. Che soltanto una irresponsabile ingenuità potrebbe far definire semplicemente "il direttore di Chi". A leggere le testimonianze di un carabiniere canaglia, di un fotografo, della titolare della Photo Masi che ha l’incarico di commercializzare il video del ricatto, Signorini è il padrone del gioco. Riceve in Mediaset e tratta in Mondadori. Dispone per l’intera gamma dei periodici del gruppo editoriale. Lo dice con chiarezza, nei giorni successivi, informando costantemente Silvio Berlusconi.

    • E’ esplicito uno dei carabinieri canaglia, Antonio Tamburrino: "A me fu detto che Signorini ne avrebbe dovuto parlare con Silvio Berlusconi".

    • E’ un fatto che Signorini è il playmaker in quella compagnia e nell’affaire. Consiglia, indica, sollecita.

    • Combina non soltanto le scelte dei direttori dei media berlusconiani, sovraordinato a Vittorio Feltri, capataz del giornale di famiglia, ma anche delle testate del gruppo Angelucci (Libero, il Riformista).

    • Organizza un incontro di Photo Masi con il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, il 12 ottobre

    • Due giorni dopo, Signorini combina un breafing tra Carmen Masi e Angelucci. Dice la Masi: "Angelucci visiona il filmato, si dimostra interessato, promette una risposta entro le ore 19 della stessa sera. Ho informato Signorini. Verso le 17, mi ha contattato telefonicamente. Mi ha detto di fermare tutto perché Panorama era molto interessato al tutto e dovevano decidere chi doveva pubblicare il tutto".

    • Mente dunque Signorini quando, con voce rotta di falso sdegno, protesta (è storia di qualche giorno fa) che "lui e soltanto lui ha deciso di non pubblicare le immagini di Marrazzo"

    • Sua è la guida della "macchina"

    • Chi ne decide direzione, percorso e velocità non è Signorini. E’, come appare chiaro nel secondo atto di questa vicenda, Silvio Berlusconi, il mattatore

    • Sa del video, lo vede, lo valuta. Misura le convenienze per due settimane (5/19 ottobre)

    • Il 19 ottobre, l’imprevisto. Lo informano che i carabinieri sono a caccia di un "video del presidente". Berlusconi comprende che non può starsene con quelle immagini sul tavolo: il "presidente" non è lui, ma quel disgraziato di Marrazzo

    • Lo chiama, gli dice che deve comprarselo in fretta, il video. Signorini lo aiuterà, ma – se è vero quel che riferisce lo staff del governatore a Esterino Montino (oggi governatore vicario) – aggiunge: "Rivolgiti a Giampaolo Angelucci, ti libererà dai guai"

    • Con quella mossa, sa di poter avere in futuro la piena disponibilità del destino di Marrazzo.

    • consegna il governatore, commissario straordinario alla sanità, al maggiore imprenditore regionale della sanità privata

    • Sempre ci sono anche gli affari, propri e degli amici, nelle manovre del capo del governo

    • Non è il solo contatto del premier con Marrazzo. Il 21 ottobre, il Cavaliere comunica al governatore che è tutto finito, i carabinieri sono ormai in azione, hanno arrestato i furfanti e stanno perquisendo la redazione di Chi

    • Esterino Montino, che è lì accanto a lui, vede Marrazzo sbiancare come per un malore

    • Le immagini, estorte con la violenza in un appartamento privato, vengono consegnate a un alto funzionario (Signorini) di un sistema editoriale (Mondadori, Mediaset e indirettamente Tosinvest di Angelucci) governato direttamente da un proprietario che è anche presidente del consiglio

    • L’affaire Marrazzo non è una storia di sesso e il sesso non è il focus della storia. L’affaire ci espone, nei suoi ingranaggi, una "macchina del fango" di cui già avevamo avvertito la pericolosità.

    • E’ la "macchina del fango", il cuore di questa storia. Il sesso l’alimenta. Le abitudini private di un ceto politico, amministrativo, professionale, imprenditoriale sono o possono diventare il propellente di un dispositivo di dominio capace di modificare equilibri, risolvere conflitti, guadagnarsi un silenzio servile, azzittire e punire chi non si conforma

    • L’affaire Marrazzo svela, come meglio non si potrebbe, le pratiche e le tecniche di un potere che, per volontà e per metodo, abusa di se stesso mostrandosi come pura violenza.

    • Berlusconi in luglio riordina le idee e lancia la "campagna di autunno". Cambia squadra. Vittorio Feltri al Giornale. Belpietro a Libero. Signorini su tutti.

    • Gli avversari, veri o presunti, sono colpiti come birilli. Accade al giudice Mesiano, spiato e calunniato dalle telecamere di Canale5. Accade al direttore dell’Avvenire, Dino Boffo, colpevole di aver dato voce all’imbarazzo delle parrocchie per la vita disonorevole del premier. Accade al presidente della Camera, Gianfranco Fini, minacciato di "uno scandalo a luci rosse" perché responsabile di un civile dissenso politico. Accade a Veronica Lario, moglie ribelle dipinta come un’adultera. È accaduto ora a Marrazzo, ma quanti ora temono che possa accadere anche a loro?

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Caso Annozero: Scajola non ha proprio niente da fare. Facci vs Feltri al posto di Baària.

Il ministro per lo sviluppo economico – neanche lo sviluppo sostenibile, oppure eco-sostenibile, che è molto più impegnativo e di urgente attuazione visti i cambiamenti climatici prossimi venturi – fa un esposto al CdA RAI per la puntata di Annozero di giovedì scorso. Apriti cielo! Il ministro si annoia. E guarda troppa televisione. Avrebbe dovuto apprezzare – e dedicargli ampie parti delle sue interviste –  il livore con cui l’ex giornalista de Il Giornale fa a pezzi il neo direttore Vittorio Feltri, tale Filippo Facci, il siluratissimo. Se per caso il ministro se lo fosse perso – ah! è per questa ragione che ha detto quelle cose della trasmissione di Santoro, poiché questa intervista e la contro replica di Feltri sono una squisitezza che andrebbe proiettata nelle sale cinematografiche al posto di Baària, nel quale sgozzano per davvero un vitello, qui invece sono due giornalisti a sgozzarsi, metaforicamente parlando s’intende, e per noi animalisti è preferibile vedere loro in agonia, sia chiaro, e non il vitello – eccone un estratto:

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    • le parole del ministro Scajola, quello che diede simpaticamente del rompic. a Marco Biagi poco prima che venisse ammazzato dai terroristi.
    • il ministro che gestì brillantemente gli incidenti di Genova ha pensato bene di intimare alla Rai di presentarsi a capo chino e di fornire spiegazioni a lui medesimo
    • Se la Rai avesse ancora un gruppo dirigente autonomo, anzi appena autonomo, dovrebbe solo stracciare la lettera, e non degnare della minima risposta il ministro
    • Scajola, infatti, sulle materie relative al pluralismo editoriale, non ha competenza alcuna
    • Dal 1976 la Corte Costituzionale, con una sentenza storica, ha decretato il taglio, almeno formale, del cordone ombelicale tra la Rai e il governo
    • Le competenze furono trasferite alla Commissione di Vigilanza per sottrarre l’azienda al diretto controllo dei governi. Ogni eventuale discussione deve avvenire in quella sede
    • In caso di violazione del contratto di servizio le competenze possono riguardare anche la autorità di garanzia delle comunicazioni, ma il governo non ha alcuna competenza
    • In realtà Scajola ha voluto mandare un messaggio preciso a Masi e al servizio d’ordine di Berlusconi che siede nel consiglio di amministrazione e cioè: cercate di ricordare che siete stati messi lì per tagliare le teste, per chiudere i programmi sgraditi, per cacciare quelli che il ministro considera dei rompic…
    • Per quello che ha detto questo ministro dovrebbe andarsene, ma se a qualche dirigente della Rai dovesse venire in mente di andare a inginocchiarsi sarà bene reclamare le immediate dimissioni
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    • Il ministero per lo Sviluppo economico aprirà un’istruttoria sulla trasmissione “Annozero”. Lo dice lo stesso ministero, che annuncia un incontro con i vertici Rai. «D’intesa con il ministro Claudio Scajola, il vice ministro Paolo Romani -si legge nella nota diffusa dal ministero- alla luce di quanto accaduto nel corso della trasmissione “Anno zero”, che ha provocato reazioni indignate da parte di moltissimi cittadini, ritiene di dover aprire una fase istruttoria ai sensi dell’articolo 39 del Contratto di servizio, in base al quale il ministero ha l’obbligo di curare la corretta attuazione del contratto stesso».
    • Il presidente del Senato, Renato Schifani, interviene preoccupato dall’ «imbarbarimento della politica, che si era trasferito anche alla comunicazione della carta stampata, si stia spostando anche sul mezzo televisivo». «La Rai è un servizio pubblico – dice – è tenuta a dare ai cittadini una informazione, una critica politica che deve essere sempre attenta a buon gusto e a quello che effettivamente interessa il comune cittadino. Niente gossip e niente cattivo gusto».
    • «È sconcertante che l’onorevole D’Alema si faccia paladino di un uso così fazioso e partigiano del servizio pubblico radiotelevisivo» dice Daniele Capezzone, portavoce del Popolo della Libertà. «Possibile che al Pd sfugga il fatto che i cittadini non pagano il canone per dover subire i comizi di Santoro e Travaglio?

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Cronache del dopo Boffo. L’oscuramento prossimo venturo.


foto – RadioGold – Vox Populi

Il circo mediatico messo in piedi da Crudelia Feltri che è scaturito nella defenestrazione del Boffo, un comune omosessuale attenzionato dalla polizia a detta loro, non si spegne e ha provocato alla stregua di una eruzione vulcanica l’oscuramento del cielo della cronaca politica.
Il caso Fondi, dopo la tiepida denuncia di Walter Veltroni, neofita dell’antimafia, è passato direttamente dai trafiletti al cestino della carta. I rilanci ANSA? Ce ne sono stati? Eppure a Fondi un attentato dinamitardo ha distrutto auto e case. Avete sentito bene. Un attentato come nello stile Via D’Amelio, per capirci, solo in scala ridotta. Chi ne ha parlato? Nessuno. La realtà, questa sconosciuta. Impegnati nella pratica dello schizzo di fango, che avrebbe coinvolo nell’ordine, cominciando dai vivi: De Benedetti, Eugenio Scalfari, Enrico Mentana, Gustavo Zagrebelsky, Concita De Gregorio, Dino Boffo, Ezio Mauro; per chiudere con i morti: Ted Kennedy e Gianni Agnelli, avrebbero ottenuto l’effetto cercato: la distrazione di massa.
A Venezia una manifestazione contro i tagli al fondo spettacolo – il FUS – viene soffocata dalle manganellate della polizia? Non c’è traccia. Il tubo catodico invece informa dell’imminente passaggio al digitale. Dal 24 Settembre il TG5 sarà visibile solo con il decoder. Un primo tassello per la futura libertà d’informazione.

  • Articolo 21 – Fondi: il governo tace, le mafie usano il tritolo – di Antonio Turri
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    • A Fondi, mentre il Governo si ostina a non voler sciogliere il Consiglio Comunale, nonostante la richiesta del Prefetto che già un anno fa aveva individuato pesanti infiltrazioni mafiose  nell’amministrazione municipale, le mafie consolidano la strategia del fuoco e dell’esplosivo. L’inchiesta della DDA di Roma e le indagini delle Forze di Polizia provocano la reazione dei clan che inviano messaggi con le bombe ai loro referenti politici. Ma il mancato scioglimento indebolisce le attività di contrasto e danno il segno dell’impunità per mafie e camorra. Intanto su Fondi sembra sceso di nuovo il silenzio della stampa nazionale e della maggioranza delle TV: anche per questo ha un senso l’adesione alla manifestazione nazionale per la libertà di informazione in Italia, cui hanno intenzione di aderire i cittadini e le associazioni libere di Fondi.

    • A Fondi sono le 2,30 del 3 settembre 2009, una bomba di elevata potenza deflagra nella centralissima via Spinete.
      Lo scenario che si presenta ai soccorritori  della polizia e dei carabinieri è impressionante. Un autocarro furgonato, appartenente ad una ditta per la fornitura di caffè  a bar ed a ristoranti del sud  Pontino,  oggetto dell’attentato, è andato completamente distrutto. Vi sono  rottami di autovetture,
      cornicioni,serrande,finestre e portoni divelti sparsi a decine di metri  sull’asfalto.

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    • In occasione dell’inaugurazione della 66esema  Mostra del Cinema di Venezia, quella che voleva essere una determinata, ma pacifica contestazione dei precari della cultura e dello spettacolo contro i tagli al FUS, è stata violentemente sedata. Un corteo di un centinaio di ragazzi, tra cui il movimento per i diritti dei lavoratori dello spettacolo- O.3, è stato caricato più volte dalla polizia in tenuta antisommossa all’altezza dell’Hotel des Bains, ferendo 4 ragazzi(2 di loro medicati in ospedale e poi rilasciati).
    • Immagini registrate da una telecamera privata testimoniano la gratuità delle azioni delle forza dell’ordine.
      Una decina di persone, tra cui 2 di noi e per la maggior parte donne, sono riuscite a passare e a avvicinarsi alla sede della mostra del cinema.
    • L’intenzione era quella di alzare dei fogli di carta con su scritto:”Precario dello spettacolo” e “Precario della cultura”, di gonfiare palloncini neri
    • Al primo foglio alzato al passaggio del Ministro Bondi da una delle ragazze, le forze dell’ordine sono intervenute massicciamente, strattonandoci, isolandoci e scortandoci fuori dall’area.

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