Acqua ai privati, non sono bufale. Senza Autority, il mercato è aperto alla speculazione.

Qualcuno scrive che il passaggio della gestione del servizio dell’acqua ai privati è garanzia di efficienza. Mi chiedo dove stia scritto. Non ci sono casi che confermano questa affermazione. Sia il privato che il pubblico possono essere inefficienti. Andrea Sarubbi, deputato Pd, ricorda in un suo post il caso della Suez, un gruppo francese che opera nel servizio idrico, cacciata dai cittadini di Pécs, città del sud dell’Ungheria. Il 12 ottobre un gruppo di liberi cittadini ha occupato lo stabilimento di un’impresa di servizi idrici, in parte proprietà della multinazionale francese Suez Environment. E il sindaco di Pécs si è trovato costretto a rescindere il contratto con la compagnia, accusandola di speculazione e di mancanza di trasparenza. Non è la prima volta che la compagnia francese viene accusata di pratiche speculative attraverso cui consegue il proprio interesse economico anziché il diritto umano all’acqua.

Con il decreto Ronchi si è persa una grande occasione. La discussione in aula è stata mutilata dal ricorso al voto di fiducia, ma sarebbe stato meglio che il governo avesse mostrato maggiore responsabilità. L’acqua è un bene demaniale, certo, e si è venduta la sola gestione del bene. Se l’acqua è di tutti, allora per tutti dovrebbe essere accessibile, e a costi moderati. Dal momento che l’acqua e il suo uso ha a che fare con la sopravvivenza umana, allora è corretto dire che il diritto all’acqua è un diritto fondamentale che afferisce strettamente alla dignità umana. Da ciò ne consegue che ogni cittadino deve essere raggiunto dal servizio idrico e quindi chi lo gestisce, deve attenersi a precise condotte in modo tale che il servizio e la sua qualità siano messi davanti al principio economico, che invece generalmente ispira l’iniziativa privata e può non condurre a finalità opposte al bene collettivo.

Di questo il legislatore doveva tenerne conto, riaffermando questi principi all’interno del decreto, magari rimandando a un ulteriore disegno di legge. Di fatto, la mancata creazione di una Autority, espone l’utente del servizio idrico alla speculazione selvaggia delle multinazionali dell’acqua, le quali ora faranno il loro ingresso nel mercato italiano, laddove non l’abbiano già fatto, senza garanzie né sulle tariffe praticate né sui requisiti minimi della qualità del servizio. Non è assolutamente vero che le imprese private provvederanno a rendere maggiormente efficiente il sistema di approvigionamento idrico, “turando le falle” della rete idrica. Anzi, in quanto concessionarie di un servizio pubblico, si comporteranno come hanno fatto sinora tutti i concessionari in Italia – il riferimento è al settore delle telecomunicazioni – ovvero, massimizzando i profitti e minimizzando la spesa e gli investimenti, sia a breve che a lungo termine. Il settore idrico è pronto per essere spolpato. Poi non resterà più niente.

    • il decreto appena licenziato ribadisce che la proprietà dell’acqua resta pubblica
    • Quello che si privatizza è invece la sua distribuzione, e qui il discorso si fa più complesso: tanto complesso che avremmo avuto bisogno di tempo ed attenzione, ma il governo ha liquidato il tutto con la 26.esima fiducia in 18 mesi, proprio per affogare sul nascere il dissenso di parte della maggioranza
    • Raffaella Mariani, capogruppo del Pd bene ha argomentato in Commissione Ambiente
    • Cominciamo dai problemi generali, che in effetti non mancano: più della metà degli italiani non ha un sistema di depurazione; il 30% dell’acqua viene disperso; il nostro sistema fognario non è degno di un Paese civile. Esistono parecchi casi di sprechi e di inefficienze – l’acquedotto pugliese è stato citatissimo negli interventi in Aula – ma ci sono anche diversi esempi di buongoverno, indipendentemente dal fatto che i gestori siano pubblici oppure misti: non sempre, insomma, una gestione privata corrisponde ad un servizio efficiente, né è detto che pubblico sia sinonimo di incapacità.
    • in Europa abbiamo esperienze molto diverse: sono efficienti sia la Germania (che ha una gestione pubblica delle risorse idriche) sia la Francia (che ne ha una mista)
    • non crea un’autorità indipendente, che vigili sulle tariffe e sui servizi offerti dai gestori privati: l’unica concessione ottenuta è stata l’approvazione di un nostro ordine del giorno nella seduta di ieri, durante la quale abbiamo mandato sotto la maggioranza per 6 volte, ma sappiamo tutti quanto poco possa valere un ordine del giorno per un governo che non rispetta neppure gli impegni internazionali
    • perché questo provvedimento obbliga i Comuni a vendere quote di società che gestiscono il servizio idrico, indipendentemente dall’efficienza dello stesso: è un regalo enorme fatto ad alcuni grandi gruppi privati, sia italiani (come Acea ed Iride) che stranieri (come le francesi Veolia e Suez)
    • se cerchi Suez su Google, tanto per fare un esempio, scopri che un mese fa la città ungherese di Pécs “ha rescisso il contratto con la compagnia, accusandola di speculazione e di mancanza di trasparenza dopo avere riscontrato che le tariffe eccessive imposte sull’acqua andavano contro gli interessi dei residenti”
    • Le cose stanno un po’ diversamente da come taluni le raccontano.
      In primis, l’acqua (o come la definiscono oggi, “l’Oro Blu”) è un bene demaniale e quindi indisponibile: lo Stato, perciò, non può “venderlo” ai privati e i privati, ovviamente, non possono acquistarlo.
    • Quel che il governo ha disposto col decreto Ronchi sulla “liberalizzazione dei servizi pubblici” è solo la possibilità di cedere ai privati la gestione dei servizi (acquedotti, fognature, pulizia e trattamento dei reflui) legati a questa risorsa.
    • Cosa, peraltro che già accade tuttora!
    • Solo che la partecipazione dei privati fino ad oggi avveniva e avviene secondo regole molto poco chiare, anzi, diciamo pure a totale discrezionalità dei singoli enti pubblici locali, che potevano e possono scegliersi partner industriali o costituire imprese pubbliche a libero piacimento, senza dover rendere conto ad alcuno.
    • Il governo, quindi, ha deciso di liberalizzare questo che di fatto è già un mercato aperto ai privati, sebbene in quote minoritarie.
      L’intento è quello tipico di ogni intervento liberale: aprire alla concorrenza per ottenerne benefici in termini di spesa e trasparenza.
    • mentre oggi i comuni, le regioni o le province scelgono autonomamente come gestire i servizi idrici, col decreto Ronchi si prospetta invece l’obbligo di battere dei bandi pubblici, in cui a vincere dovrebbe (dico dovrebbe, visto il noto malcostume italiano) essere il gestore che offre migliori servizi magari a prezzi inferiori degli altri!
    • gli enti locali si sgraverebbero di notevoli costi di gestione.
      In buona sostanza: è vero che domani potremmo pagare di più per bere i nostri soliti ettolitri d’acqua ogni anno, ma dovremmo, di contro, pagare meno tasse, visto che lo Stato dovrebbe risparmiare parecchi quattrini…
    • sempre all’articolo 15 del decreto Ronchi, si dice esplicitamente che alle gare per la gestione dei servizi idrici potranno partecipare anche aziende pubbliche (sul modello, ad esempio, di quella che già oggi opera nella Puglia di Vendola) e, addirittura, si consente di mantenere l’affidamento dei servizi “in-house”, esattamente come oggi, ma a ben precise condizioni.
    • Nelle intenzioni del decreto c’è però il tentativo di innescare un meccanismo di trasparenza e apertura al mercato attraverso bandi di gara pubblici che potrebbero contribuire a migliorare un servizio che ad oggi, ribadiamolo, è un colabrodo

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Alcoa, o l’energia o il lavoro. Governo messo al muro dalla multinazionale. I veleni dell’Alcoa.

Affidati a un comunicato, i dirigenti della Alcoa fanno sapere che o il governo rivede le tariffe per l’energia o l’Alcoa, la multinazionale dell’alluminio, smantella lo stabilimento di Portovesme. Naturalmente il governo cedera’ al ricatto di Alcoa. Non ha altre chance. La Sardegna e’ una regione depressa, gia’ sconta la crisi della Saras, la raffineria dei Moratti.
Notizia di stamane di una riunione dei lavoratori in assemblea assieme ai vertici aziendali, al direttore e al capo del personale, e ai sindaci della provincia di Carbonia-Iglesias. L’Alcoa assicura ai propri dipendenti la continuita’ dell’attivita’ dello stabilimento di Portovesme, pur con delle interruzioni. In sostanza, fanno capire i dirigenti, il futuro di Alcoa in Sardegna dipende da quanto il governo italiano sara’ magnanimo nei suoi confronti. Un esempio di capitalismo rampante. Multinazionali decotte che campano grazie alle sovvenzioni statali. Alcoa non e’ interessata alle sorti dei lavoratori, ne’ alla qualita’ del lavoro o dell’impatto della propria attivita’ produttiva nell’ambiente circostante.
Leggete il testo che segue, risalente allo scorso settembre:

Un tenore di fluoro che supera di sei volte il limite consentito. L’emergenza ambientale attorno allo stabilimento dell’Alcoa di Portovesme è stato certificato dall’Agenzia regionale per l’ambiente che ieri ha reso noti i risultati delle analisi sui campioni. La realtà è ancora peggiore dell’immaginazione: la concentrazione di fluoro nell’aria attorno allo stabilimento dell’alluminio dell’Alcoa di Portovesme è più di sei volte il massimo consentito dalla legge. A fugare i dubbi sui livelli di inquinamento registrati attorno alla fabbrica della multinazionale americana in seguito agli inconvenienti che hanno messo fuori uso una sessantina di celle elettrolitiche è stata l’Agenzia regionale per l’Ambiente. Un report pubblicato sul sito ufficiale rivela finalmente i risultati delle analisi effettuati sui dati raccolti dalle centraline di rilevamento.

Un altro conflitto fra lavoro e salute. I lavoratori della Alcoa e gli abitanti della Sardegna conoscono quello che fanno questi signori. Si sono respirati una bella dose di acido fluoridrico, disperso nell’aria in prossimita’ dello stabilimento Alcoa. Questo il prezzo da pagare per avere un lavoro. Ovviamente di tutto cio’, durante l’incontro di ieri fra l’AD di Alcoa Giuseppe Toia e il ministro per lo Sviluppo Economico Scajola, non si e’ parlato. Talvolta, lo sviluppo economico, e il conseguente salvataggio di alcune centinaia di migliaia di voti a favore, valgono la pena di qualche morte per tumore. E’ una scelta che il ministro si assume in pieno.

All’emissione risultano concentrazioni variabili di acido fluoridrico comprese tra 1,05 e 1,94 milligrammi per Normalmetrocubo, a fronte di un limite ammesso di 2 milligrammi per Normalmetrocubo; un ulteriore campione è stato prelevato presso il punto di emissione senza la filtrazione prevista dalla metodica ufficiale a soli fini di riscontro ed ha presentato un valore di acido fluoridrico di 5,5 milligrammi per Normalmetrocubo; ai confini dello stabilimento, in corrispondenza delle recinzioni, risultano concentrazioni variabili di fluoro tra 36 e 201 microgrammi per Normalmetrocubo, mentre presso il pontile del porto commerciale di Portovesme (in direzione del vento al momento del prelievo con pompa aspiratrice) sono stati rilevati meno di 19 microgrammi per Normalmetrocubo (limite di rilevabilità del metodo); in località Ecca de Chiccu Sedda (in direzione del vento al momento del prelievo) sono state invece rilevate concentrazioni i fluoro di 124 microgrammi per Normalmetrocubo (la normativa prevede che media nelle 24 ore debba essere inferiore a 20 microgrammi per Normalmetrocubo).

    • Al termine dell’incontro tenutosi al ministero dello Sviluppo economico, l’amministratore delegato di Alcoa Italia, Giuseppe Toia, ha ricordato che «come scritto nel comunicato della casa madre americana Alcoa Inc della scorsa notte, non c’è alcuna dichiarazione secondo cui Alcoa intende chiudere definitivamente i suoi impianti di produzione dell’alluminio (smelters) in Italia»

    • «Interruzioni temporanee degli impianti – ha aggiunto Toia – potrebbero determinarsi dopo un processo di consultazione che potrà durare fino alla seconda metà di dicembre.

    • Se Alcoa potrà ottenere un contratto di fornitura di energia elettrica a prezzi competitivi, questa interruzione sarà immediatamente sospesa.

    • Alcoa e il ministro Scajola stanno lavorando da alcuni giorni a questo processo, e Alcoa vuole ringraziare il ministro per la sua guida e il suo impegno

    • Alcoa: a Portovesme, in Sardegna, i lavoratori si sono chiusi nell’impianto e impediscono a chiunque di entrare e uscire, dirigenti compresi

    • non è un caso di "azienda in crisi": è l’ennesimo caso di multinazionale che viene qui ad attaccarsi alla mammella dello Stato. Già: perché era lo Stato, cioè noi, a pagare una parte degli enormi consumi elettrici di Alcoa

    • La terza industria di alluminio al mondo, una delle più grandi industrie sul pianeta Terra, che si fa pagare la bolletta elettrica da Pantalone, probabilmente col ricatto occupazionale.

    • Ora la UE ha detto basta a questo andazzo, e l’Alcoa, che non può più mantenere il proprio business coi soldi pubblici, chiude baracca e burattini.

    • I lavoratori sono stati già manganellati ieri a Roma, ed è probabile che l’esperienza si ripeta anche a casa. Il governo promette, ma cosa c’è da promettere? Di continuare a pagare le bollette, cosa che l’UE ha proibito? Di abbonare all’Alcoa la parzialissima restituzione del maltolto, come sentenziato dall’Europa, ovvero circa 300 milioni di euro?

    • Il sindacato tuona indignato contro il governo, probabilmente auspica che si cali ancora le braghe davanti a questi scrocconi

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Influenza suina S.p.A

Senti parlare dell’influenza suina come della peste, poi come della truffa del secolo. Ma dove è la verità? Questo grande demone.
Diamo allora una sbirciatina all’andamento dei titoli azionari di alcune multinazionali del farmaco – GlaxoSmithkline, Sanofi-Aventis e Roche.

Considerato che le prime notizie della pandemia suina risalgono alla fine di aprile 2009, si può affermare che da quel periodo i tre titoli borsistici abbiano avuto delle buone performance (il confronto è fatto con l’indice Nasdaq per Glaxo e Roche, per Sanofi-Aventis con l’indice Mibtel). Una ulteriore prova del buono stato di salute delle multinazionali del farmaco si potrebbe fare facendo coincidere i picchi delle curve con gli annunci dell’OMS. Proviamoci:

28 aprile – OMS lancia l’allarme, il virus si trasmette da uomo a uomo (Glaxo, 23/04 p. 986, 27/04 p. 1.063, +8%; Sanofi Aventis, 23/04 eur. 39.75, 27/04 eur. 41.80, +5%). Va bene sarà un caso. Riproviamo.

14 Luglio – OMS, pandemia inarrestabile (Sanofi Aventis, 10/07 eur. 41.25, 15/07 eur. 43.04, +4%; Glaxo, 10/07 p. 1091, 15/07 p. 1113, +2%). Bè, sarà un caso, l’ennesimo. Provate a dilettarvi anche voi, prendete nota degli annunci dell’OMS e l’indomani guardate quanto valgono questi titoli. Passerete l’estate dignitosamente…

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    • Sale la febbre per la ricerca del farmaco e il business si fa miliardario. Se da un lato il virus H1N1 terrorizza il mondo, qualcuno non perde occasione per incassare. Il giro d’affari dell’influenza vale 10 miliardi di dollari per aziende farmaceutiche come Big Pharma
    • ogni singola dose di vaccino è destinata a costare una decina di euro
    • i governi dei vari paesi hanno già prenotato, presso le 3-4 aziende in grado di produrre il vaccino su larga scala, almeno 600 milioni di dosi, per un controvalore di 3 miliardi di euro, circa 4,3 miliardi di dollari
    • J. P. Morgan stima che, alla fine, ai 600 milioni di dosi già prenotate se ne sommeranno altri 350 milioni, per un’ulteriore fattura di oltre 2 miliardi e mezzo di dollari
    • I giganti dell’industria farmaceutica protagonisti del business miliardario sono i soliti noti, da GlaxoSmithKline a Sanofi Aventis, passando per Novartis, Astra Zeneca.
    • è Big Pharma a dominare il mercato. Anzitutto con il Tamiflu della Roche. E poi con il Relenza, ancora di GlazoSmithKline.
    • Secondo J. P. Morgan, Tamiflu e Relenza porteranno, rispettivamente a Roche e Glaxo, vendite per 1,8 miliardi di dollari nei paesi ricchi, più 1,2 miliardi di dollari nei paesi in via di sviluppo.
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    • Il virus non sarebbe nato da una nuova mutazione ma da esperimenti effettuati in un laboratorio della Baxter a Orth-Donau.
    • Il rilascio accidentale di una mescolanza di virus umani ed animali può provocare infatti conseguenze terribili. Questo è ciò che emerge dalla denuncia di una giornalista austriaca e da alcuni articoli sulla stampa internazionale. Da qui la corsa a vaccinare l’intero pianeta. Fantascienza o realtà?

    • Lo strano sta nel fatto che tutto è fuori posto, tutto è sproporzionato, tutto è illogico
    • Come può un pericolo irrisorio (si tratta di una pandemia di grado 2 ovvero debole e assai circoscritta. In tutto 17.181 casi in Europa e 320 in Italia. Questi i dati forniti dal Ministro Sacconi e che statisticamente significano lo zero assoluto), 800 morti in tutto il mondo su una popolazione di 6 miliardi e 750.819.383 di persone, scatenare una reazione da codice rosso?
    • Il 9 luglio scorso compare sul “The Canadian Press”, un articolo dal titolo “Baxter: un prodotto conteneva virus vivi dell’influenza aviaria”. Alcuni siti e blog italiani lo riportano, primo tra tutti “Disinformazione”. La Baxter avrebbe fatto uscire da un suo impianto materiale virale contaminato con virus dell’influenza aviaria H5N1.
    • L’incidente da contaminazione, che è sotto inchiesta nei quattro paesi europei, è venuto alla luce quando il subappaltatore nella Repubblica Ceca ha inoculato il prodotto a dei furetti ed essi sono morti. I furetti (mammiferi) non dovrebbero morire se esposti ai virus H3N2 dell’influenza umana.
    • è stato descritto come un “serio errore” da parte della Baxter hanno ipotizzato che la morte dei furetti significasse che il virus H5N1 nel prodotto fosse vivo.
    • Gli esperti “sono sgomenti per il fatto che il virus umano H3N2 e il virus H5N1 convivessero in qualche modo nel laboratorio di Orth-Donau. Si tratta di una pratica pericolosa che non dovrebbe essere permessa. Il rilascio accidentale di una mescolanza di virus H5N1 e H3N2 avrebbe potuto provocare conseguenze terribili.
    • Se qualcuno esposto ad una mescolanza dei due, fosse stato infettato simultaneamente da entrambi i ceppi, avrebbe potuto servire da incubatrice per un virus ibrido capace di essere trasmesso facilmente da persona a persona. Questo processo di mescolamento, chiamato riassortimento, è uno dei due modi in cui vengono creati virus pandemici”.

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