Dalla lettera di Lavitola: piccolo bignami della corruzione

Fu Lavitola a convincere Berlusconi a comprare i senatori necessari a far cadere il governo Prodi del 2006-2008. Lo scrive lo stesso Lavitola in una lettera mai recapitata, scritta da Rio de Janeiro lo scorso dicembre 2012, nel pieno della latitanza che l’ex editore de L’Avanti! condusse in seguito al mandato di arresto dei magistrati napoletani che investigano sulla P4 Bisignani-Papa-La Monica. Nella lettera Lavitola è reo confesso di una lunga lista di attività di corruzione e di dossieraggio messe in opera la fine di servire Silvio Berlusconi.

Provo in quest post a farne un elenco e una prima provvisoria contestualizzazione storica:

  1. l’acquisto di De Gregorio: il senatore IDV fu al centro di un clamoroso ribaltone che nel 2008 significò la fine dell’Unione di Prodi.
    • C’e’ un balletto di banconote al seguito della fortuna di DE GREGORIO: 500 mila euro da Berlusconi «all’atto della firma dell’atto federativo che stabiliva anche il sostegno al partito», nato dal movimento «Italiani nel mondo», un contenitore politico editoriale (giornali e un canale tv) capace di ottenere finanziamenti. E’ lo stesso senatore ad ammetterlo, quando parla delle presunte ritorsioni prodiane per il suo tradimento: «Hanno tolto due milioni di contributo pubblico alla tv Italiani nel mondo, con un emendamento della Finanziaria». Prima di quest’ultimo «scivolone calabrese», il senatore aveva fatto capolino da un’inchiesta su una «fabbrica di dossier» gestita da uno 007 privato (La Stampa.it);
  2. la desistenza del senatore Pallaro: era uno degli eletti nelle circoscrizioni estero della XV Legislatura. Fu al centro di un giallo poiché già nell’aprile del 2006 il suo voto favorevole al governo Prodi era dato in forse proprio da esponenti di Forza Italia e di An.
    • Poco dopo la conclusione della sua vittoriosa campagna elettorale, Pallaro, che si è definito democristiano, affermò che «avrebbe dato il voto di fiducia alla coalizione vincente» (in questo caso L’Unione) in quanto «non possiamo permetterci il lusso di andare all’opposizione» e tale presa di posizione risultò particolarmente rilevante, data la risicata maggioranza dei partiti delcentrosinistra nella seconda Camera (158 senatori a 156). Ciononostante, lo stesso Pallaro fu oggetto di un vero e proprio giallo quando il 19 aprile l’allora Ministro degli italiani all’estero Mirko Tremaglia comunicò alla stampa che «un senatore eletto all’estero che era stato segnalato per Prodi non vota più Prodi»: secondo Forza Italia il parlamentare ad aver cambiato idea sarebbe stato proprio Pallaro. Pallaro smentì tali dichiarazioni ed annunciò il suo voto positivo sia a Franco Marini (candidato dell’Unione alla presidenza di Palazzo Madama) sia al governo Prodi II. Da allora, pur mantenendo la sua posizione di autonomia ed indipendenza dai due Poli, Pallaro ha attivamente collaborato con l’esecutivo guidato da Romano Prodi, sostenendolo in parlamento ed ottenendo alcuni riconoscimenti per gli Italiani residenti all’estero, come il ripristino dei fondi a disposizione della rete consolare, contenuto nella Legge Finanziaria 2007. Contraddicendo quanto sostenuto nella campagna elettorale, tuttavia, contribuì alla caduta del Governo Prodi. Infatti il 24 gennaio non partecipò al voto al Senato, rimanendo a Buenos Aires (Wikipedia alla voce Luigi Pallaro);
  3. come hanno convinto Dini: Lavitola si è avvalso della collaborazione di Giuseppe Ferruccio Saro e di Romano Comincioli (defunto nel 2011). Ha promesso posti nel nuovo governo. Che non arrivano:
    • Poco prima del Tg delle 20 LAMBERTO DINI ha scoperto che era sfumato anche l’ultimo impegno del Cavaliere. Una lunga catena di promesse (o di illusioni) che sulla base degli affidamenti di Berlusconi aveva consentito a DINI (era febbraio) di sperare nella presidenza del Senato, a fine aprile in un ministero di peso (l’Economia, piu’ realisticamente la Difesa) e poi, in un progressivo appassimento di ambizioni, l’impegno di palazzo Chigi si era ridotto a due sottosegretariati. Ieri sera DINI ha scoperto di non avere nulla in mano, mentre piccoli premi erano andati a personaggi (come il capofila dell’ «altra Dc» Giuseppe Pizza), che nel bene o nel male hanno avuto una presenza meno incisiva nella storia del Paese. Tutto era iniziato con la caduta del governo Prodi, un «delitto» consumato il 25 gennaio e nel quale DINI non aveva sparato il primo colpo, prerogativa di Clemente Mastella, ma si era riservato il colpo di grazia (La Stampa.it);
  4. la pistola fumante, alias Clemente Mastella, che sarebbe stato convinto a far fallire il governo Prodi dandogli l’aiutino attraverso pressioni alla procura che aveva messo ai domiciliari la moglie:
    • Alle 21,30 il primo, vero contatto con casa Berlusconi, alle 22 la telefonata di MASTELLA a Mauro Fabris, il suo braccio destro: «Domattina ti aspettano a Milano i vertici di Forza Italia, si puo’ chiudere un accordo con 20 deputati e 10 senatori». L’indomani mattina – ironia dei destini incrociati – e’ Prodi a cercare MASTELLA, ma CLEMENTE non si fa trovare. E’ ansioso, da Milano aspetta la telefonata ”libera-tutti” di Fabris, che infatti arriva all’ora di pranzo: «Tutto a posto, c’e’ il timbro di Berlusconi!». Alle sei della sera MASTELLA puo’ annunciare ai giornalisti: «Lasciamo la maggioranza, l’esperienza del centrosinistra e’ finita». E’ il 21 gennaio, il ribaltone e’ compiuto (La Stampa.it);
  5. il dossieraggio contro Fini e la cosiddetta “casa di Montecarlo: il caso Tulliani ha praticamente tenuto testa per la seconda parte del 2010. Il piano era chiaro e doveva servire a giustificare la cacciata di Gianfranco Fini dal Popolo della Libertà. Un “intrigo internazionale” che rimanda direttamente ai paesi del Sudamerica, a Panama, a Saint Lucia, dove basta una mazzetta di denaro per fabbricare i documenti necessari a incastrare il presidente della Camera:
    • tutto sul caso Fini-Tulliani sulle pagine di Yes, political!: https://yespolitical.com/?s=tulliani – nella lettera Lavitola ricorda a B. di aver avuto 400/500 mila euro, quando invece ne spese almeno 100 mila in più; e non sarebbe stato ricambiato a sufficienza il benefit di Martinelli, che è il presidente di Panama.
      • Il 16 aprile 2012 l’ex direttore de L’Avanti Valter Lavitola, amico del Presidente Martinelli, viene raggiunto da un avviso di garanzia da parte della procura di Napoli in merito a un’ipotesi di corruzione internazionale per presunte tangenti a politici panamensi per la realizzazione di carceri e l’acquisizione di appalti.Per ottenere illecitamente alcune commesse milionarie, Lavitola avrebbe ricompensato con “utilità e somme di denaro in contante” anche il presidente di Panama di origine italiane Martinelli, destinatario anche di una valigetta con del denaro, il ministro della giustizia Roxana Mendez ed altri esponenti di Governo destinatari anche di vacanze di lusso (Wikipedia alla voce Ricardo Martinelli).
  6. le nomine: Ioannucci a Poste Italiane.
    • UCCI UCCI SPUNTA FUORI LA IOANNUCCI – LA CLAUDIA IOANNUCCI DI CUI PARLANO A TELEFONO LAVITOLA E NICLA TARANTINI, DEFINITA “GIORNALISTA DI REPUBBLICA” DAGLI INVESTIGATORI, POTREBBE ESSERE IN REALTA’ LA NEOCONSIGLIERA DI AMMINISTRAZIONE DI POSTE ITALIANE, AMICA DI VALTERINO – E POSTE ITALIANE E POSTE PANAMA HANNO SOTTOSCRITTO UN IMPORTANTE ACCORDO DI COLLABORAZIONE LO SCORSO 21 AGOSTO, ALLA PRESENZA PROPRIO DELLA IOANNUCCI – UNA COINCIDENZA? AH SAPERLO (Dagospia – profetico).
  7. il ruolo del maresciallo La Monica, carabiniere del Ros, avrebbe operato per salvaguardare Bertolaso, per insabbiare l’indagine sulla compravendita dei senatori, avrebbe “dato una mano” sul caso Saccà e su Nicola Cosentino, nonché ad occultare alcune foto che ritraevano Berlusconi e Bassolino insieme a camorristi.

Caso Ruby e conflitto di attribuzione, Fini depone le armi

Fini, anche dinanzi ad un parere negativo dell’Ufficio di Presidenza della Camera, darà il lasciapassare alla richiesta di conflitto di attribuzione dinanzi alla Consulta sul Caso Ruby:

La ragione? La guerra a B. è inutile. Ci penserà la Corte costituzionale:L’Ufficio di Presidenza vede al suo interno prefigurarsi comunque una maggioranza avversa a Berlusconi: 11 a 9 voterebbero contro la richiesta; prassi vuole che il parere di Fini sia comunque vincolante. E Fini non ha alcuna intenzione di rifare il gioco al massacro con il suo ex alleato.

(tratto da Il Messaggero, 09/03/2011, p. 8)

Fu Farefuturo: il de profundis degli intellettuali finiani

Farefuturo Web Magazine, il sito della ‘primavera’ finiana è finito nella polvere. Adolfo Urso, ex colonnello di An, poi colomba nel FLI, ora divorziato “in casa” e apertamente in rottura con la linea dei falchi Bocchino, Briguglio, Granata, ha tolto l’ossigeno – i soldi – alla creatura di Filippo Rossi. Questo il laconico comunicato dell’editore:

Cari amici del web, da oggi Farefuturo Web Magazine cessa le sue pubblicazioni. La società editrice ha dovuto prendere atto della assoluta impossibilità a continuare l’attività giornalistica per l’insufficienza delle risorse a sua disposizione. Quando cominciammo, nel gennaio 2009, ci eravamo proposti l’obiettivo dell’autonomia finanziaria entro un anno. Purtroppo, così non è avvenuto. Gli introiti pubblicitari si sono progressivamente ridotti, rendendo oltremodo problematica la copertura dei costi redazionali e di gestione del sito. Da qui la decisione, difficile e dolorosa, di sospendere l’attività. Questi due anni di continuo dialogo con i lettori, soprattutto giovani, hanno rappresentato un’esperienza entusiasmante, che ha segnato una fase della vita della nostra Fondazione e che ha profondamente inciso sul dibattito pubblico. In questo momento, un particolare grazie va alla redazione, ai giovani collaboratori e soprattutto a tutti voi lettori. Farefuturo prosegue la sua attività con gli strumenti classici di una fondazione di cultura politica: seminari, corsi di formazione, convegni e pubblicazioni, di cui potrete trovare notizia sul sito www.farefuturofondazione.it. Il nostro impegno continua.
L’Editore
1 marzo 2011

E così gli rispondono dal web:

Pochi ma buoni

Buongiorno Direttore,

solo un cordiale saluto ed un pensiero: come al solito quando si inizia a “ballare” i conigli ed i codardi scappano. Meglio pochi ma buoni, anche se credo che presto diventeremo molti, sperando di non imbarcare i soliti voltagabbana.

Ruby e Casa di Montecarlo: è guerra aperta fra PdL e FLI

E’ guerra aperta fra il PdL e Futuro e Libertà, una guerra che si consuma a colpi di comunicati contenenti richieste di dimissioni, da una parte e dall’altra. E’ il risultato della strategia “difensiva” di Berlusconi messa in atto oggi da Frattini e dai deputati PdL con il voto affermativo della Giunta per le Autorizzazioni al rinvio delle carte dell’inchiesta Ruby.

1. Cominciamo con ordine: Frattini stamane è stato ascoltato dai senatori sul caso della Casa di Montecarlo, attribuita dai media berlusconiani al cognato di Fini, Giancarlo Tulliani. E’ stato il caos in aula. Di fatto Frattini non ha mostrato alcun documento. Si è limitato ad affermare che si tratta di documenti “autentici”. E che in essi si fa riferimento al suddetto Tulliani come reale beneficiario delle società off-shore coinvolte. La strategia è chiara tanto quanto è confusa e disperata la mente che l’ha partorita: distrarre dal Ruby-gate indirizzando l’odio dei berluscones su Gianfranco Fini e la sua mancata promessa di dimissioni. E’ una mossa disperata, che rivela l’affanno di chi sta cercando di sotttrarsi alla gogna pubblica. Una mossa ingenua, che solo la mente di un “povero vecchio” poteva studiare.

Stasera Il Fatto Quotidiano ha svelato le “carte” di Frattini. Ebbene, Frattini ha bleffato. Le carte inviate da Saint Lucia sono una chimera: la comunicazione di termine delle indagini corredata di copia della documentazione già nota da tempo, ovvero dalla scorsa estate quando Il Giornale di Feltri e Sallusti pubblicava quotidianamente fango sul Presidente della Camera. Il documento svelato da Il Fatto consta di una lettera, datata 10 Dicembre 2010, a firma del solito Stephenson King, primo ministro dell’isola caraibica:

“Abbiamo accluso – si legge –  una copia del memorandum ufficiale rilasciato dal procuratore generale ed a me indirizzato che e stato pubblicato su diversi giornali internazionali e che ha concluso che il sig. Giancarlo Tulliani era l’utilizzatore beneficiario di dette compagnie […]

II nostro primario interesse era di assicurare che le predette compagnie ed i predetti agenti fossero in regola con le leggi e la disciplina esistenti in materia di compagnie off-shore in Santa Lucia . E’ stata sempre nostra intenzione che il solo scopo delle indagini fosse di accertare che le compagnie ed i loro rispettivi agenti fossero in regola con le nostre leggi e che si proteggesse la reputazione della nostra giurisdizione in materia di società off-shore.

Gli attuali agenti e i fruitori beneficiari delle Compagnie esistevano in conformità con le nostre leggi ed i nostri regolamenti; di conseguenza il Governo di Saint Lucia ha ufficialmente chiuso le indagini riguardanti le società Printemps ltd, Timara Ltd, e Jaman Directors.ltd e quindi non c’e più alcun ulteriore interesse da parte della nostra giurisdizione su tale materia” (Il Fatto Quotidiano).

Di fatto Tulliani viene indicato come “beneficial owner” delle suddette società off-shore. Ho già ampiamente trattato su questo blog della differenza fra beneficial owner e proprietà di una società. Vi rimando a questo post:

https://yespolitical.wordpress.com/2010/09/27/caraibi-corallo-e-walfenzao-i-nomi-chiave-del-giallo-fini-tulliani/

Avrete pertanto capito che i documenti in possesso della Farnesina sono cartaccia. Spazzatura. Servono solo ad aizzare contro il nemico Fini. E a chiederne le dimissioni strappandosi le vesti, in modo da farsi riprendere dal TG1 e da diventarne la prima notizia del giorno, come è accaduto oggi.

2. La Giunta per le autorizzazioni della Camera, intanto, ha votato a favore di una mozione della maggioranza che richiedeva il rinvio della documentazione dell’inchiesta Ruby al mittente: la Giunta, quindi il Parlamento – si è così convenuto – non è competente a decidere sull’autorizzazione a effettuare le perquisizioni degli uffici del Rag. Spinelli, uffici di pertinenza della segreteria dell’onorevole Berlusconi. La competenza è del Tribunale dei Ministri. B. avrebbe agito per difendere l’onorabilità di Mubarak, quindi per ragioni di opportunità dettate dalla politica estera del governo medesimo. Lui credeva che Ruby fosse la nipote del presidente egiziano. Era stato indotto in errore dalla ragazza medesima. Pertanto quella telefonata è stata compiuta da B. in quanto primo ministro. Da ciò la competenza a giudicare B. sarebbe del suddetto Tribunale dei Ministri e non della Procura di Milano. Questa la teoria della maggioranza, architettata dal geniale pool di avvocati di B medesimo. L’obbiettivo è di giungere al “conflitto di attribuzione” dinanzi alla Consulta: quindi di allungare i tempi dell’indagine e del processo. Anche questa una mossa disperata, vista e considerata la gravità del reato che comporta una prescrizione del reato stesso molto lontana negli anni. Per B. questa volta è veramente difficile sottrarsi dal processo. Difficilissimo.

La linea della maggioranza è passata anche a causa delle defezioni dell’opposizione – 11 a 8 il voto finale (composizione: 9 maggioranza, 10 opposizione, 2 gruppo misto) – ma soprattutto per il voto favorevole degli appartenenti al gruppo Misto. La vittoria di oggi rischia però di essere un boomerang: dovrà essere riconfermata dal voto dell’aula la prossima settimana, e dovrà essere un voto a maggioranza assoluta, ovvero di almeno 316 deputati. Un nuovo voto di fiducia, si può ben dire. Che si svolgerà per voto palese. Non ci potranno essere voti ribelli, a meno di essere pubblicamente additati come salvatori di Berlusconi.

3. Il vergognoso attacco de Il Giornale a Ilda Boccassini, pm di Milano del caso Ruby:

Un caso risalente al 1982. Pensate, ventinove anni fa. Ventinove. Se non è gogna questa… La prima pagina de Il Giornale vi fornisce l’esatta proporzione della disperazione di B. Sì, è talmente spacciato da dover ricorrere a questi mezzi. E non parlate di giornalismo: questo è in realtà fasc-ismo.

Casa An, Frattini in diretta al Senato svela i segreti di Saint Lucia

Misteriosi atti provenienti dall’isola caraibica di Saint Lucia, relativi alla proprieta’ delle due societa’ che, in tempi diversi hanno gestito l’immobile di Montecarlo ereditato da An nel ’99 e venduto nel 2008 per circa 300 mila euro, sarebbero ora nelle mani della Procura di Roma. Secondo indiscrezioni dalle carte risulterebbe che il titolare delle societa’ sarebbe Giancarlo Tulliani, cognato di Fini.

Stamane è atteso il ministro degli Esteri in persona, Franco Frattini, in aula al Senato per rispondere ad una interrogazione del senatore PdL Compagna sulla questione in oggetto.

Ora, è palese a tutti che si tratta di un pessimo teatrino organizzato per distrarre dal grosso guaio dei festini di Arcore. gli atti sono giunti all’improssivo ieri l’altro, guarda caso all’apice del sex-scandal. E’ una strategia dettata dallo stesso Berlusconi: “Il terzo polo va spaccato […] colpire Fini per costringere Casini a un negoziato (La strategia del Cavalier Pompetta, Il Foglio, 26/01/2011). Indiscrezioni del Corriere della Sera indicano in Walter Lavitola l’artefice del pamphlet di accusa al cognato di Fini. La medesima firma in opera la scorsa estate.

In attesa di scoprire le nuove carte, ecco la diretta streaming del Senato.

Diario della sfiducia: dalla Camera al Senato il mercimonio dei voti mentre i finiani vacillano

Domani mattina, ore 9.00, il Senato apre i lavori dopo la pausa forzosa discutendo la mozione di fiducia presentata dalla maggioranza. Protagonista della prima giornata sarà il daemon (demone) della Politica Berlusconi. La Camera dei Deputati, invece, apre alle 16. Verrà discussa la mozione PD-IDV e altri, detta di “sfiducia”. Berlusconi parlerà in serata, prima dei telegiornali. Domani nelle tv rimbomberà la sua voce decrepita, una voce che ha suggestionato e ammaliato e talvolta vilipeso questo paese negli ultimi sedici anni. Lui stesso evoca scenari apocalittici: dopo il 14 Dicembre nulla sarà come prima. E’ qualcosa che avvertiamo tutti. Nulla sarà come prima. Da un lato, la sua probabile – ma non certa – sconfitta aprirà una fase politica di incertezza in cui le opposizioni saranno chiamate a uno sforzo di inventiva per uscire dal nodo gordiano della legge elettorale e della ingovernabilità. Viceversa, la sua vittoria sarà una vittoria numerica ma non sostanziale: si ritroverà in Parlamento non più due opposizioni bensì tre, con una pletora di servi e servetti a libro paga da foraggiare quotidianamente, pena la caduta. Ecco, allora: la sua probabile vittoria del 14 non sarà vera vittoria. Con la compravendita di deputati e senatori, B. ha scelto per la lenta caduta, per la lunga decadenza che – la storia insegna – termina sempre nella volgarità e nella violenza. Il suo predecessore, Prodi, scelse coraggiosamente per l’immediato patibolo. Questo vuole rimandare la sentenza, ma quando essa giungerà, non ci sarà alcun appello.

Sì, il 14 Dicembre sarà la fine del mondo così come lo conosciamo. Fine del bipolarismo all’italiana, per esempio. Fine del berlusconismo inteso come stretta applicazione del managerialismo alla politica. Fine dei personalismi e della politica della bottega. Fine del pollaio televisivo, della battaglia fittizia fra le parti in gioco. E se conosciamo cosa sta per finire, sia che termini subito, sia che si trascini morente per altri cinque o sei mesi, non sappiamo cosa succederà a questo cadavere putrescente della vita pubblica italiana. Il 14 imporrà delle scelte. In primis, a Gianfranco Fini, che oggi ha dichiarato che se B. dovesse ottenere la fiducia, si dimetterà e FLI passerà all’opposizione. Vale a dire, non potrò più sostenere il ruolo super partes del Presidente della Camera. Questa affermazione è però lo specchio di una insicurezza. Il rischio di una fiducia in extremis è reale. Certamente B. vivrà di stenti, dopo. Certamente Fini lo ha sfasciato. Ha demolito quella granitica maggioranza prodotta dai meccanismi distorisivi del Porcellum. B. non ha più carta bianca. Alla Camera dovrà entrare togliendosi il cappello. Ma se così fosse, la pattuglia finiana subirebbe uno scossone non di poco conto. Fini conta sulla dissoluzione del PdL. Sa che al suo interno sono in molti a fiutare il pericolo del naufragio. Molti parlamentari non sono disposti a colare a picco insieme al partito. Eppure, in caso di fiducia, pure Futuro e Libertà rischia di ribaltarsi come una zattera di quattro legni. Il partito non c’è; a livello locale raggiunge la consistenza ectoplasmatica; a livello nazionale è già diviso fra falchi e colombe.

Poi, Lui: il suo potere mediatico è intatto. Berlusconi sta impiegando i media, nel buio delle stanze di Arcore o Palazzo Grazioli, come una precisione chirurgica. Ieri, mentre parlava Bersani dal palco di Piazza S. Giovanni, al culmine di una manifestazione partecipata, esce nelle agenzie di stampa la notizia che è avvenuto un contatto fra le “colombe” finiane e quelle del PdL. Un artificio da vecchia volpe, un modo per distrarre da Bersani e concentrare i titoli dei siti e dei telegiornali su di lui e contemporaneamente a gettare nel panico i finiani che devono mandare in tutta fretta Italo Bocchino da Mentana per correggere le affermazioni contenute in un documento firmato dalle predette colombe. Qualche giorno fa ha silurato Matteo Renzi, il sindaco rottamatore che dopo la Leopolda si era guadagnato un certo seguito soprattutto sul web, con un comunicato in cui si diceva dell’incontro a cena fra i due ad Arcore e degli apprezzamenti di B. verso il Renzi, che un po’ gli somiglia. Per tutta questa settimana ha ripetuto come in un mantra che il 14 vincerà e oggi persino lo stesso Fini incomincia a credergli. E domani il grande show in Palramento a frustare i cosiddetti teatranti della politica che lo ostacolano, lui che dalla politica è cosa a se stante pur avendola fatta per sedici anni sparigliandone tutte le regole, persino quelle costituzionali; lui che è un uomo della società, che fa e produce ma nasconde gli utili in conti esteri; lui che in fondo ha soltanto settantaquattro anni e a quell’età si è nel pieno della gioventù, quella gioventù che viene sempre prima della morte.

Domani diretta streaming del dibattito alla Camera e al Senato dalle ore nove su CubicaTV.

Cercasi Badoglio Disperatamente

Chi sono i candidati? Questa domanda alberga sulla scena politica italiana come una nube nera. Chi dopo B? Non Fini, che non troverebbe nessuno all’interno del PdL pronto a votarlo. Non Casini, che fa troppo Terzo Polo. Non sia mai Pisanu, lui che non è un traditore, ma pensa troppo con la propria testa ed è chiaramente in opposizione al federalismo di stampo leghista, in ogni modo una carta da giocarsi in chiave anti-Bossi. C’è un rischio da evitare: che PdL e Lega diventino improvvisamente opposizione di un governissimo Terzo Polo-PD e che lo usino come una preziosa leva elettorale. Allora per Fini e soci è necessario tenere la Lega dentro il governo. Serve un Badoglio, urgentemente.

Due i nomi che circolano insistentemente: Gianni Letta, per un governo da maggiordomi; Roberto Maroni, per un inedito governo di garanzia leghista, ipotesi suffragata dalle prese di posizione antitetiche a Bossi del Ministro dell’Interno (Europa). Pare che questa sia la sola alternativa spendibile dei terzopolisti con Berlusconi. Se sarà invece, come probabile, sfiducia con rottura delle trattative Fini-Casini-Berlusconi, quest’ultimo getterà la polpetta avvelenata ai due che dovranno prendersi la responsabilità della decisione: governissimo con il PD o elezioni. Nel primo caso, il nome candidato per eccellenza alla guida di un nuovo esecutivo con una nuova maggioranza non elettorale, è quello di Mario Draghi. Un revival dell’operazione Ciampi del 1993.

Infine c’è il Partito Democratico. Il quale deve guardarsi bene dall’entrare in un esecutivo che gli farebbe perdere altri elettori e gli getterebbe addosso l’onta del collaborazionismo, già ventilata da più parti soprattutto in ambienti IDV. Certo, la pressione a sinistra si fa sempre più pesante. Vendola con SeL è al 7%, secondo gli ultimi sondaggi. La disponibilità del PD per un governo di responsabilità nazionale è – dicono – “fuori discussione”. Quelle vecchie canaglie di Ferrero e Diliberto soffiano sul fuoco: «un eventuale governo di transizione permetterebbe di nuovo a Berlusconi di fare la vittima e di candidarsi a vincere le prossime elezioni». «Nuove elezioni, non c’è alternativa minimamente decente» (Europa). Non mancano le frecciate di Di Pietro, il quale, forse in affanno nei sondaggi, vista l’arrembanza di Vendola che porta via consensi a tutti a sinistra del PD,e certamente in ritardo sui tempi della mobilitazione in vista del voto di sfiducia del 14 Dicembre, ha organizzato una manifestazione al Paladozza di Bologna per questo venerdì, 10 Dicembre. Ci saranno tutti i paladini dell’antiberlusconismo di ferro: da Travaglio a Vauro, a Dario Fo. E’, diciamolo, un tentativo in extremis per oscurare la manifestazione del PD prevista per sabato 11 Dicembre, per la quale si prevede una adesione record: la riparazione al danno fatto al partito medesimo con quella decisione cervellotica di non aderire al No Berlusconi Day dello scorso anno.

[Questo blog seguirà entrambe le manifestazioni].

Fini: Berlusconi si dimetta o sarà appoggio esterno. La crisi per un nuovo patto di legislatura

Un lungo, a tratti noioso e ripetitivo (molte delle cose dette oggi erano già state dette a Mirabello ad inizio Settembre), discorso che termina – finalmente – con la richiesta di dimissioni di Berlusconi da parte di Gianfranco Fini. Si dimetta, o i ministri di Futuro e Libertà usciranno dal governo.

Serve un nuovo patto di legislatura, ha detto il leader di FLI, in cui al centro debbono essere messi i temi economici. Ha insistito molto sull’economia e sul lavoro, Fini. Ha lamentato l’assenza della politica dal tavolo aperto dalle parti sociali, mesi or sono, al fine di rianimare la crescita economica italiana. Ha parlato della necessità di stabilizzare i precari del lavoro, di agganciare il salario alla produttività, di sgravi fiscali per le imprese che investono al sud. Il federalismo non può essere un danno per il meridione: deve diventare una opportunità per la sua classe dirigente. Bisogna però fare una riforma completa, modificare la forma parlamentare del bicameralismo perfetto, creando un Senato delle Regioni – coerentemente con una forma di Stato che sia genuinamente federale; non come si fece con la riforma costituzionale che cambiò l’art. 117 (opera ahimé del governo D’Alema) suddividendo confusamente la competenza regionale da quella statale e istituendo una serie di competenze concorrenti che hanno fatto aumentare il contenzioso davanti alla Corte costituzionale. Serve anche una riforma dell’amministrazione pubblica, in special modo per quanto concerne la concessione degli appalti, dove adesso è preminente l’interferenza della politica e dove prevalgono meccanismi di fedeltà all’insegna di un cameratismo proprio di cricche affaristiche plutocratiche.

Fini chiede ora una svolta– meglio tardi che mai, si è detto. Futuro e Libertà, in circa due mesi – da Mirabello a Perugia – si è strutturato come un partito popolare. Fini pare pronto alla svolta, sebbene lo sbuffo finale abbia tradito l’ansia per i probabili risvolti polemici e per le conseguenze politiche al suo pur durissimo discorso. E’ mancata, però, del tutto l’autocritica sulla strategia mantenuta in parlamento in questi ultimi due mesi, quando FLI ha votato con la maggioranza negando l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro Lunardi, e permettendo che passasse quell’obbrobrio della norma della retroattività del Lodo Alfano costituzionale.

Restiamo in attesa delle reazioni di Arcore.

Convention Futuro e Libertà – diretta streaming del discorso di Gianfranco Fini

[Conclusa] Dalla Convention di FLI, Perugia, il discorso di Gianfranco Fini in diretta streaming.

Gli ex colonnelli all’arrembaggio de Il Secolo d’Italia: Perina rischia il posto

Si è sgonfiato l’affaire Montecarlo? Poco importa: il nuovo fronte della guerra contro Fini passa ancora per la carta stampata, ma taglia in due il giornale da sempre eco delle gesta di Gianfranco Fini, nonché storico quotidiano di alleanza Nazionale, Il Secolo d’Italia. L’appello per la sopravvivenza del giornale, improvviso, è stato pubblicato venerdì scorso:

Lanciamo un appello a chi ha a cuore il pluralismo e la libera circolazione delle idee, ai colleghi giornalisti, ai parlamentari di tutti gli schieramenti, agli amici di Fli e del Pdl, perche’ facciano sentire la loro voce a difesa del ”Secolo d’Italia”, da 49 anni voce della destra italiana, che rischia la chiusura per l’azione miope e vendicativa di un gruppo di dirigenti della ex-An. Il rifiuto improvviso ed immotivato di versare le anticipazioni che ci consentono da sempre di pagare gli stipendi degli ultimi tre mesi dell’anno comporta di fatto la liquidazione del giornale (Asca News).

C’è qualcuno che non vuole un giornalismo di destra “fuori dal coro”, tuona la Perina. Dopo “tre giorni di discussioni” – prosegue – “con il titolare del Comitato di gestione Franco Pontone, che nel frattempo è stato dimissionato, e con il Comitato dei garanti della Fondazione An, la direzione del Secolo prende atto del rifiuto di garantire, come da cinquant’anni a questa parte è stato fatto, i fondi necessari a consentire l’uscita del giornale: una anticipazione modesta – 700mila euro – necessaria a coprire gli ultimi mesi dell’anno in attesa del versamento dei contributi per l’editoria”. Pontone era imbarazzato dal caso Montecarlo, messo alle strette dagli ex colonnelli: prima della “ristrutturazione” dell’azienda-giornale, l’anticipazione dei denari era anche di uno-due milioni, oggi si chiedono solo 700mila euro ma ciò sembra non bastare. Pontone viene dimissionato lo scorso 28 Ottobre, con un voto a maggioranza dell’assemblea dei Garanti (una specie di comitato diviso fra gli ex colonnelli). I 700mila euro diventano 300mila, poi si vedrà: di fatto il giornale è strangolato. E non si fa affatto mistero che a dar fastidio sia la linea editoriale della Perina. La Perina deve essere affiancata o sostituita. Perina e Lanna messi alla porta, questo il prezzo per la continuità del giornale. Che rischia di dover bloccare le pubblicazioni poiché di quei 300mila euro non v’è traccia alcuna.

Oggi, la nuova riunione dei Garanti si è conclusa con una “fumata nera”:

La soluzione della “crisi” era stata solennemente promessa per mercoledì, ma ieri non si è registrata nessuna novità. Anzi: una nota del Comitato dei Garanti sostiene che è stata l’assenza di Rita Marino all’Assemblea del Secolo del 28 ottobre scorso a determinare il problema (Secolo, nuova riunione dei Garanti, Il Secolo d’Italia).

Nella pratica, trattasi di una battaglia per zittire la finiana Perina e sottrarre a Fini e Futuro e Libertà il loro organo di stampa. Come tutte le divisione fra “fratelli” di sangue politico, anche fra gli ex AN voleranno gli stracci. Questo è solo l’inizio: vi è ancora tutta la parte immobiliare da spartirsi.

Manifesto d’Ottobre per Fini: ritorno alla politica alta. Secondo Il Giornale è marxista

Oggi a Milano è stato presentato il Manifesto d’Ottobre, un documento a firma di alcuni intellettuali che invocano una rinascita della res publica, della Politica. I promotori sono: Monica Centanni, Peppe Nanni, Fiorello Cortiana e Carmelo Palma. Un tentativo, il loro, che si inserisce nel quadro politico di centrodestra, diviso irrimediabilmente dalla dipartita dei finiani dal partito del Padrone. Intendendo fornire un background intellettuale al neonato partito finiano, il manifesto è un documento aperto, rivolto a tutti, intellettuali di destra e intellettuali di sinistra:

È urgente uscire da una fase di transizione infinita, aprendo la strada alla modernizzazione della politica, della cultura, dell’economia italiana. Occorre promuovere una fase costituente, sottoscrivere un nuovo patto fondativo: costituzionale in un senso non solo giuridico, politico in senso non solo istituzionale. Occorre ritrovare il filo di un grande racconto, di una narrazione più vera e più nobile della cultura e della storia repubblicana contro il degradante clichè di una italietta furba e inconcludente: ripensare il modello italiano e incarnare quel progetto, ridare corpo a una tradizione civile di cui si possa andare orgogliosi (tratto da Manifesto d’Ottobre).

Parole già udite, che ricordano – e non ci può sembrare vero – Nichi Vendola e Sergio Marchionne. Il riferimento a una nuova dimensione narrativa è un referral al Nichi del Congresso di SeL, così come affermare che è necessario “ridare corpo a una tradizione civile”; inoltre, scrivere della esigenza di ripensare il modello italiano è calarsi nella più profonda mentalità riformatrice (e in un certo senso castigatrice, moralizzatrice) dell’AD di Fiat. Dove si collocano allora gli intellettuali finiani? Non è la destra né la sinistra: checché ne dica Il Giornale, Fini non è marxista, bensì si pone al di là dell’antico novecentesco abisso che divide la Politica per farsi sintesi di una ideologia nuova, basata sul civismo e sul legalismo. Hanno persino pensato a un nome: Patriottismo Repubblicano, in cui essi calano il nucleo dell’idea di un impegno civico che è «cura del bene comune e dei beni comuni, difesa del paesaggio italiano, consapevolezza collettiva del patrimonio materiale e immateriale».

Patriottismo repubblicano è promuovere un’idea espansiva e non puramente negativa della libertà. È coltivare un’idea positiva della competizione tra le parti e dell’agonismo tra le forze politiche come presidio della libertà (ibidem).

Perciò la politica non è la mera “rappresentazione del reale”, ma estende la propria narrazione a ciò che invece è messo ai margini, a ciò che non rientra nel politico, che non è parte e non rientra nei sondaggi d’opinione: loro, i clandestini della politica, gli esclusi dalla decisione pubblica, devono essere ricondotti alla propria dimensione di individui ridando a loro la piena cittadinanza nella sfera pubblica italiana.

La critica de Il Giornale non si limita a dare del marxista a Fini, giocando sul titolo del documento (Manifesto d’Ottobre ricorda la Rivoluzione leninista del 1918). Secondo Feltri e co., la proposta finiana è talmente vaga da poter accotentare tutti. Anche Cacciari, che pare deluso dal PD:

Alla fine, l’unico passaggio che può risul­tare indigesto e controverso è questo: «Senza cielo politico non c’è cultura, ma soltanto eru­dizione e retorica» quindi un rin­novato impegno civile è indi­spensabile vista «la stretta rela­zione tra Potere e Sapere che dà virtù all’etica pubblica». Allora torniamo all’intellettuale consi­gliere del Principe? Speriamo di no, è roba da marxisti anni Ses­santa. Altro che «progettare il presente e il futuro». Qui c’è solo l’apertura al passato, quello «del­l’utopia socialista» (Il Giornale.it).

Prescidendo dalla ventilata e temuta “apertura al passato socialista”, è innegabile che una nuova cultura politica si debba imporre in questo scenario di sfera pubblica completamente privatizzata. Il civismo è forse la sola risposta, che è poi la risposta che a sinistra invocano da tempo, chiedendo maggior partecipazione e ricambio delle elité: quella rottamazione che fa innervosire Bersani e dà gloria al sindaco di Firenze Renzi. E non pensate che questa sia un’altra storia.

Fini, ovvero il Migliorismo di Napolitano applicato a Berlusconi

Emblematica la vicenda odierna sul Lodo Alfano, all’indomani del doppio voto dello scandalo in Ia Commissione Affari Costituzionali al Senato – retroattività e reiterabilità dell’immunità per Capo dello Stato e Presidente del Consiglio. Napolitano invia una lettera a Carlo Vizzini, presidente della suddetta Commissione, una informale moral suasion all’interno della quale inserisce tutte le sue preoccupazioni circa il provvedimento di natura costituzionale (che chi sa mai se vedrà la luce): pur non entrando nel merito del testo, il Presidente si limita a sottolineare che la natura della carica che riveste è già tutelata dall’articolo 90 della Costituzione:

tale decisione – scrive Napolitano -, che contrasta con la normativa vigente risultante dall’articolo 90 della Costituzione e da una costante prassi costituzionale, appare viziata da palese irragionevolezza nella parte in cui consente al Parlamento in seduta comune di far valere asserite responsabilità penali del Presidente della Repubblica a maggioranza semplice anche per atti diversi dalle fattispecie previste dal citato articolo 90 (L’Unità).

Insomma, la Costituzione disegna la figura del Presidente deinterlacciata rispetto al Parlamento e al Governo. E’ una figura di dignità superiore a quella delle altre istituzioni, che opera in un quadro di bilanciamento e indipendenza dei poteri. Il Lodo si inserisce in questa architettura rigida ma limpida innestando una irrituale – e forse incostituzionale – dipedenza del Presidente dal Parlamento per quanto concerne la sua assoggettabilità al giudizio della magistratura, altro potere che rischia di perdere la sua indipendenza qualora vada in porto l’altra riforma, quella più generica sulla Giustizia. Pensate a un pm sotto l’egida del Ministro dell’Interno che bersaglia il Capo dello Stato su incipit del governo. Pensate a una maggioranza parlamentare che giudica preventivamente un Presidente della Repubblica autore eventuale di illeciti di natura penale.

Osservate invece la semplicità della norma di cui all’articolo 90 della Costituzione:

Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune [cfr. art. 55 c.2], a maggioranza assoluta dei suoi membri [cfr. artt. 134, 135 c.7 ].

Alto tradimento, attentato alla Costituzione: sono queste le accuse per cui vale la messa in stato d’accusa. E il Parlamento delibera in seduta comune e a maggioranza assoluta dei suoi membri. Basta, non serve altro. E’ già una garanzia di altissimo grado quella preservata dall’articolo 90.

Vi sarà chiaro che l’inserimento della figura del Capo dello Stato nel Lodo Alfano è pura distrazione di massa. Il Lodo è una legge ad personam. Che ha preso il voto dei finiani in Commissione. Perché?

Un tempo vi era una corrente del PCI che si chiamava Migliorismo. Protagonista di quella scena politica era proprio Giorgio Napolitano. Il Migliorismo “sostiene il possibile miglioramento dall’interno, quando non l’accettazione, del capitalismo; questo attraverso una serie di graduali riforme e praticando una politica socialdemocratica, che non si opponga cioè in maniera violenta o conflittuale al capitalismo stesso” (Wikipedia). E’ di fatto una politica dell’appeasement, dell’acquiescenza, dell’accettazione del male che è sempre un “male minore”. Il Migliorismo rompeva con l’ortodossia marxista e inaugurava la stagione del Riformismo. L’ala migliorista è ciò che è sopravvissuto del comunismo italiano dopo la svolta della Bolognina.

In analogia a quanto sopra, il finianesimo è la declinazione del migliorismo di Napolitano al berlusconismo. Fini da un lato annuncia l’emersione di un profilo politico a destra che fa della giustizia e dei diritti civili una bandiera; dall’altro, dopo averlo sostenuto per quindici anni e essersi abbeverato alla stessa marcescente putrefatta fonte, scende a patti con il male assoluto, con la degenerazione plutocratica, populista della videocrazia italiana, identificata con il corpo e la persona del leader. Fini ordina ai suoi in Commissione di concedere il Lodo a Berlusconi. Immunità per uno piuttosto che la distruzione di un sistema costituzionale. Ma l’uguaglianza di tutti davanti alla legge può essere barattata dinanzi alla minaccia di una distruzione totale?

Accade a ciascuno di cercare il male minore, nella vita individuale e pubblica. È il momento in cui urge, tatticamente, scongiurare il precipizio nel peggio. In politica spingono in questo senso la prudenza, l’astuzia. Ma il male minore rischia di installarsi, di divenire concetto stanziale anziché nomade: non ambivalente paradosso ma via aurea, con esiti e danni collaterali che possono esser devastanti, non subito ma nel lungo periodo. A forza di mitigare l’iniquità agendo dal suo interno, in effetti, sorgono insidie che la Arendt spiega bene: «Lungi dal proteggerci dai mali maggiori, i mali minori in politica ci hanno invariabilmente condotti ai primi» (Barbara Spinelli, La Stampa.it).

Ci si scorda, aggiunge Spinelli, di aver scelto un male, seppur minore. Abbiamo ammesso il male in casa nostra, nella nostra casa comune che è la Costituzione. Lentamente, esso la farà a pezzi. Come il Migliorismo, che pretendeva di cambiare da dentro il sistema capitalista, è finito per essere espressione di una classe politica di sinistra che si è persa, liquefatta nel capitalismo (Fassino e “abbiamo una banca”), così il finianesimo ammette la propria sconfitta non potendo evitare la catastrofe della riforma della Giustizia, se non pagandola a duro prezzo con una immunità ad personam.

Tardiva, se non altro, la dichiarazione di oggi di Gianfranco Fini in coda alla lettera di Napolitano, “basta leggi ad personam”. Dopo averne votate così tante, è difficile credergli ancora.

Montecarlo e il ruolo della Farnesina: chi ha raccomandato Corallo?

La scorsa settimana, Corrado Formigli, nel corso della puntata di Annozero, ha rivelato che il nome di Francesco Corallo è stato proposto come Console Onorario di Sint Maarten in una serie di email intercorse fra la Farnesina e il Console di Miami, tale Marco Rocca. Il quale, indagando su Corallo, venne a conoscenza della parentela sconveniente (il padre Gaetano, condannato per associazione a delinquere). Tanto che rispose picche. Formigli rese noto che, nei giorni delle pressioni fatte dalla Farnesina, la moglie di Rocca ebbe un “incidente” automobilistico (l’auto andò a fuoco). Un atto intimidatorio contro il console, ultimo baluardo della legalità della diplomazia italiana? Il giorno dopo lo scoop di Formigli, Frattini annunciò un’indagine interna sull’intera procedura eseguita.

Durante la settimana, quelli de Il Giornale e di Libero si sono arrovellati per far ricadere il sospetto della raccomandazione non già su Frattini, come verrebbe facile pensare, ma su Gianfranco Fini, ex ministro della Difesa nel precedente governo Berlusconi. Tanto che Feltri e soci scovano una copia delle email mandate al Console di Miami. Queste email sono state inviate dal Segretario Generale della Farnesina, Giampiero Massolo. E Massolo, secondo Libero, sarebbe un funzionario della diplomazia italiana appartenente alla “filiera” finiana. Massolo ha fatto pervenire una lettera a Libero in cui smentisce l’apparteneza a questa o a quella corrente politica. Poi aggiunge:

La segnalazione circa l’aspirazione di Corallo mi è pervenuta, tra le tante che ricevo in ragione del mio incarico, da persona che conosco da tempo, che non ha alcun rapporto con la politica, né tantomeno con ambienti legati al presidente Fini (Libero, 13/10/2010, pag. 6).

Ergo, la ricostruzione fatta da Libero è frutto di invenzione. D’altronde, il curriculum di Massolo, funzionario della Farnesina di lungo corso, è limpido oltreché lunghissimo (comincia nel 1978). E’ dal 2008, fra le altre cose, Sherpa del G8. Viene nominato Segretario Generale il 12 settembre 2007: la massima aspirazione per un diplomatico. Perché dovrebbe compromettersi per una raccomandazione, un “favore” ad un amico che non è neanche in politica? Massolo rivela che lo scambio di email è durato non più di qualche giorno, e non c’è stato spazio per i dubbi sulla reputazione di tale Corallo.

Quindi? Molto rumore per nulla? Libero e Il Giornale hanno cercato timidamente di rigirare il bubbone Corallo-slot machine contro Fini. Ma il colpo gli è rimasto in canna. Massolo non è finiano poiché a Fini non deve alcunché: la sua carriera era già una carriera di vertice all’interno della Farnesina. E la pista Saint Lucia si è completamente sfaldata. Come mai Il Giornale e Libero non approfondiscono il caso del documento del ministro della Giustizia di quell’isola? E come mai Lavitola è uscito di scena?

Lavitola cala l’asso: ecco la email di Walfenzao

Eccola, la email che Lavitola teneva nascosta nel taschino. E’ agli atti dell’inchiesta dell’Attorney General di St. Lucia, Mr. Doddy Francis. E’ per tale ragione che Lavitola ha rischiato l’incriminazione da parte degli inquirenti di Saint Lucia.

Lo scrivente è quel James Walfenzao più volte citato nell’arco della vicenda come l’amministratore delle società Timara e Primtemps, nonché presidente o simile di The Corpag Group, la madre di tutte le off-shore, se così si può dire. L’indirizzo email di Walfenzao corrisponde a quanto pubblicato qui:

La email è stata trafugata dal pc di Michael Gordon, secondo Lavitola titolare della Corporate Agents St. Lucia Ltd, sita al numero 10 di Manoel Street a Castries, stesso indirizzo di Timara e Primtemps. Corparate Agents è una società controllata da The Corpag Group. Figura fra le filiali di Corpag, nei Caraibi. E’ un mistero su chi ha trafugato la email. Gordon figura come destinatario della missiva, insieme a Evan Hermiston, socio della Corporate Agents, nonché esperto di off-shore. L’indirizzo email di entrambi riporta l’estensione di candw.lc, che corrisponde a un sito di webmail gratuite di Saint Lucia. Di primo acchito non si può affermare che le email siano false.

Ho tentato una traduzione del testo:

Signori,

Queste due società (Timara+Primtemps, nel titolo della email) hanno attirato l’attenzione della stampa italiana. A quanto ci sembra (precedentemente non conoscenza di ciò) vi è un connessione politica che è emersa in un grande conflitto/scandalo, ora che Berlusconi e Fini (precedentemente partner in politica) stanno litigando. La sorella del cliente sembra avere un forte legame con uno degli uomini politici coinvolti.
Mentre la maggior parte del fango viene gettato dalla stampa controllata da Berlusconi, giornali anche più seri come il Corriera della Sera ne stanno scrivendo.
Il mio nome è stato citato come regista; nessun commento sul fatto che abbiamo fatto qualcosa di sbagliato. Nonostante sia molto fastidioso.
Queste aziende sono state utilizzati per comprare un piccolo appartamento in MC. Abbiamo trovato il valore basso e siamo andati dal notaio per verificare. Il notaio ha spiegato che il prezzo (l’appartamento è stato ereditato da una vecchia signora che è morta, era in cattive condizioni/non mantenuto etc); il notaio ha spiegato che era soddisfatto del valore e non poteva trasferire il bene per un valore troppo basso in quanto egli deve riscuotere le tasse di trasferimento per lo Stato.
Si può essere avvicinati dai giornalisti- Io suggerisco che noi dobbiamo soltanto non rispondere. Stiamo considerando di dimetterci; per primo, voglio sentire dal cliente ciò che egli ha da dire.
Vi terrò informati.
Ho solo pensato che fosse giusto farvi sapere.
Saluti,
James

Ammessa la validità del documento, su cui si può dubitare, eccovi le mie considerazioni:

  1. stupisce come il sistema delle off-shore si sia messo in allarme appena qualche giorno dopo le rivelazioni de Il Giornale; Walfenzao si è impaurito per il solo fatto di esser stato avvicinato da giornalisti e perché il suo nome era citato sui giornali, non solo quelli di B., ma anche sul più serio (!) Corriere della Sera;
  2. Walfenzao nella email dice di aver parlato con il notaio che ha redatto l’atto di trasferimento circa il prezzo pattuito, secondo W. troppo basso; il notaio gli ha riferito che l’immobile era in cattive condizioni;
  3. il notaio riferisce che non può trasferire il bene a un prezzo troppo basso; quindi 300mila euro sono pochi o no? A me pare una contraddizione: W. trova il prezzo basso, va dal notaio che gli riferisce di non poter vendere a un prezzo più basso ancora. Ma il fatto che l’appartamento fosse in cattivo stato è riportato anche qui;
  4. W. pensa di dimettersi (dalla Timara e dalla Primtemps?); dice che ne parlerà con il clinete;
  5. il cliente sembra proprio essere Tulliani; ha una sorella legata a uno dei politici coinvolti nel conflitto fra Berlusconi e Fini.

(continua…)

La compravendita non è riuscita. Semi Fiducia a 342 (meno 38)

Diciamolo, è una CroceFLIssione:

342 – 38 = ?