#OccupyGezi in 18 foto

ankarakiss

https://twitter.com/Feritility/status/341867400884518913

https://twitter.com/MGTRKMN/status/341781969669066753

https://twitter.com/bts0427/status/341862894750793728

https://twitter.com/57UN/status/341858357587611648

https://twitter.com/AnonOpsMob/status/341715435554762754

Il #Quirinale e l’influenza di Twitter

A corredo delle discussioni inutili sull’influenza dei social network intorno alla elezione del Presidente della Repubblica, cito ad esempio questa amabilissima discussione che Francesco Boccia ha appena avuto su Twitter:

http://twitter.com/F_Boccia/status/325559852493570049

Il problema è fin troppo chiaro. C’è una domanda, forte, che si dipana attraverso i social, di cambiamento. Se non ci fossero stati i social, saremmo già in sciopero generale o in piazza a Montecitorio a sfasciare le vetrine. Capito?

In secondo luogo, è la risposta che latita. Rivendicare, come ha fatto Boccia, il fatto di aver preso 5000 voti in primarie avvenute quattro mesi fa quando questo clima era ancora sottotraccia, e farlo con quel tono, significa sordità cognitiva. O qualcosa di simile.

I social, come detto, sono solo il mezzo. 

Riot, un software per controllare i social network

Immagine

Si chiama Raytheon ed è una società multinazionale che si occupa di ‘Difesa e sicurezza’. E’ il quinto produttore al mondo di questo genere di servizi. Il Guardian ha pubblicato un video che svela come il software prodotto da Raytheon, Riot (che sarebbe l’acronimo di Rapid Information Overlay Technology), sia in grado di scandagliare trilioni di entità attraverso i vari social network. Lo ‘strumento’ di controllo sarebbe in grado di fornire previsioni circa gli spostamenti o i comportamenti degli utenti. Guardian parla di sofisticata tecnologia che potrebbe trasformare i social media in “Google delle spie”. Chiaramente questo tipo di tracking online verrebbe messo in opera a prescindere dalle intenzioni dei proprietari delle identità sui social. Così Facebook, Twitter, Foursquare ci fanno accettare le loro policy sulla privacy online mentre questi software spia bypassano la burocrazia e registrano ogni nostro click. Riot sfrutterebbe soprattutto le fotografie pubblicate sui social, dalle quali estrarrebbe i dati della geolocalizzazione, ovvero latitudine e longitudine.

Riot è in grado di visualizzare in un diagramma le associazioni e le relazioni tra gli individui online, cercando fra quelli con cui hanno comunicato di più su Twitter. Si può anche estrarre i dati da Facebook e vagliare le informazioni sulla posizione GPS da Foursquare, i cui dati possono essere utilizzati per visualizzare, in forma grafica, i primi 10 posti visitati dai singoli individui e gli orari in cui li hanno visitati. In sostanza, sfrutta tutte le informazioni che noi pubblichiamo ignari che queste possano avere una qualche risultanza per qualcuno.

La tracciabilità dei comportamenti elimina lo spazio di incertezza che ogni individuo porta con sé: in altre parole, elimina lo spazio della libertà individuale. Se tutto può essere tracciato e controllato, anche le nostre decisioni future possono essere inglobate in un algoritmo che tutto prevede poiché può attingere da un serbatoio smisurato di profili. Sinora l’obiezione più grande verso questi software era che mai e poi mai avrebbero potuto gestire terabyte di dati di informazioni inutili. Che mai avrebbero potuto prevedere una insurrezione popolare – come la Primavera Araba – poiché il software non può distinguere la semplice opinione dalla intenzione. Cosa avrebbe di diverso Riot? L’uso dei dati pubblici di Facebook o di Twitter a scopo di ‘garantire la sicurezza di un paese‘ non è un reato. I dati sono pubblici, abbiamo scelto di renderli tali, abbiamo cliccato su ‘Mi piace’ ben consci che altri possono vederlo, anche i funzionari del servizio segreto del nostro governo. Quando questo strumento è nelle mani di un potere legittimo e democraticamente costituito, è un potere altrettanto legittimo, esattamente come quello di stabilire delle pene per dei reati, o come il potere di emettere sanzioni amministrative. C’è una indagine, si individua una fattispecie di reato,c’è un giudice che stabilisce la liceità di intercettazioni telefoniche, si scoprono le prove, si istruisce un capo d’accusa. Ma quando invece la natura del potere è illegittima, o legittima ma antidemocratica, allora questo strumento diventa l’arma letale che annienta la sfera privata dei diritti civili.

Il video pubblicato su Guardian

Psicodramma M5S, Riotta querelato per un retweet

giarrusso

Avvocato Mario Michele Giarrusso

Aggiornamento: consiglio la lettura di questo post di Valigia Blu in cui si specifica meglio la natura del tweet di Riotta (tecnicamente non un retweet ma una interpretazione personale di una notizia che il giornalista medesimo ha letto – come poteva fare chiunque altro – sulla versione siciliana di Repubblica, versione cartacea).

http://www.valigiablu.it/il-caso-riotta-beppe_grillo-e-la-denuncia-per-un-retweet/

Massimo Mantellini: http://www.mantellini.it/2013/01/02/il-retweet-e-come-un-link/

E’ come se Riotta avesse tradotto la notizia con parole sue, con parole “nuove” (lottizzazione ce l’ha messa lui) e l’avesse riferita come se stesse chiacchierando con gli amici giù al bar. Sia chiaro, si risolverebbe tutto con una rettifica di 140 caratteri. E sarebbe finita lì, da galantuomini. Valigia Blu afferma che “Il RT come il tweet non dovrebbe esimere dalla verifica della notizia e in caso contrario si può incorrere in querele per diffamazione”. Non sono completamente d’accordo: Riotta ha divulgato una notizia che era sulla carta, interpretandola. Quante volte avete linkato e retwittato o citato parole di articoli di giornale? Avete provveduto ad eseguire le opportune verifiche? E’ possibile materialmente farlo? Un RT dura lo spazio di un millisecondo. Un tweet qualcosa in più, poiché il twitteratore deve comporre il messaggio e pensare a cosa scrive. Ma se traduce il significato di un articolo con una parola che prima non c’era, davvero compie diffamazione?

[Post originale]

Si chiama Mario Michele Giarrusso. E’ un avvocato ed è fresco candidato alle Politiche 2013 per il M5S. Quel che gli è successo lo spiega lui stesso sul blog di Grillo:

[sono] stato contattato da una pubblica amministrazione che deve liquidare l’ATO acque. Qualche tempo fa abbiamo vinto in maniera splendida un referendum che ha sancito che l’acqua deve essere pubblica, deve essere dei cittadini. Per fare questo bisogna liquidare tutte le strutture che sono state create per trasferire l’acqua, che è nostra, alle società private. Per fare ciò si dà un incarico a un avvocato, in questo caso il sottoscritto (blog Beppe Grillo).

La notizia di questo strano incarico è stata riportata da Repubblica, in particolare dal giornalista Carmelo Caruso. La storia subodora di lottizzazione, secondo Caruso. Riotta legge l’articolo e come un normale twitteratore ne scrive nei canonici 140 caratteri:

Di fatto si tratta di un Retweet, anche se non nella forma canonica. In gergo giornalistico potrebbe essere definito come una “ribattuta”. Naturalmente Riotta non ritwittera nel suo ruolo di giornalista, poiché altrimenti ne avrebbe scritto un articolo, come Caruso, e avrebbe per certi versi verificato la veridicità delle informazioni.  Ma l’avvocato a 5 Stelle lo querela ugualmente:

La liquidazione degli ATO idrico è stata decisa dall’Assemblea Regionale Siciliana non più di una settimana fa. Con tale provvedimento le funzioni d’Ambito tornano di competenza ai Comuni. L’ARS dovrà approvare una ulteriore legge per riconsegnare ai comuni siciliani la gestione dell’acqua. Dovrà farlo entro sei mesi: nel frattempo, la situazione viene cristallizzata.  I Comuni che non hanno consegnato ai privati i loro impianti non avranno più l’obbligo di procedere alla consegna. In sostanza, le società private a cui erano state assegnate le licenze di gestione dell’acqua pubblica dovranno essere smantellate. Centinaia di lavoratori verranno licenziati o ricollocati. Le società verranno liquidate. La chiusura dell’ATO di Catania verrà gestita proprio da Giarrusso. Il ruolo di Giarrusso, avvocato “di grido” come viene scritto da più parti, protagonista della lotta contro gli inceneritori e i rigassificatori, è quello di consulente del commissario della Provincia di Catania, Antonina Liotta, nominata tale dal presidente Crocetta lo scorso Novembre. Il caos sugli ATO in Sicilia è tale che non si capisce più dove sta il torto e dove la ragione: Giarrusso è stato nominato dalla Liotta, crocettiana. E’ sufficiente questo per gridare alla lottizzazione? Forse no, tanto più che gli ATO ora si rifiutano di restituire gli impianti ai Comuni: “Seicento milioni di euro di appalti, una società partecipata dalla Provincia regionale di Catania, e un partner privato che detiene il 49%. La Sie Spa, società che dovrebbe gestire il servizio idrico alle falde dell’Etna, è il capolavoro giuridico della gestione Lombardo della Provincia. Sino a questo momento gli Ato si sono rifiutati di consegnare gli acquedotti alla società” (LiveSiciliaCatania).

Giarrusso è stato scelto per la sua competenza di avvocato o piuttosto perché appartenente al M5S? La sua nomina fa parte della strategia di seduzione invocata da Cancelleri l’indomani della elezione di Crocetta (“presidente, ci seduca”, disse Cancelleri)? Domande che meritano risposte, non querele.

Primarie, volano gli stracci fra Huffington Post e Ipsos sui sondaggi

Huffington Post Italia metteva ieri in homepage una interpretazione di un sondaggio Ipsos che avrebbe dato Bersani vicino al 50%, quindi probabile vincente al primo turno. Ne è nata una diatriba assurda che va avanti ancora in queste ore. Imperdibile.

Primarie centrosinistra, anche il sondaggio Ipsos conferma il trend negativo per Matteo Renzi. Pier Luigi Bersani vicino al 50%

Ipsos risponde con un secco comunicato che apertamente accusa i tipi dell’Huff Italia di male interpretare i loro dati:

I risultati pubblicati da Huffington Post Italia non sono coerenti con le nostre stime

Quindi la polemica si infiamma. Non più di due ore fa, su Twitter:

Da qui in poi è un assolo di Pagnoncelli. Fantastico.

Francesco Costa, dal suo canto, osserva e commenta:

Quelli dell’Huff non ci stanno e rivendicano la correttezza delle proprie interpretazioni.

Per concludere, il sondaggio era questo (e Bersani è ben lontano dalla vittoria al primo turno):

Bersani 39.9%
Renzi 32.1%
Vendola 16.3%
Puppato 2.8%
Tabacci 1.5%
Non indica 2%
Indeciso 5.4%
TOTALE 100%

#PubblicoLive: e Di Pietro diventa trending topic con l’aiutino dei Bot

Se vi fosse capitato di seguire la diretta streaming di oggi dell’intervista di Luca Telese e dei tipi di Pubblico Giornale al leader IDV Antonio Di Pietro, vi sareste imbattuti in una fittissima cronaca su Twitter che vi avrebbe indotto certamente spegnere il video. Addirittura, l’hashtag #PubblicoLive era diventato trending topic in pochi minuti. L’intervista è cominciata alle 12, ed è durata circa un’ora: poco dopo le 13 #PubblicoLive era terzo nella classifica degli argomenti del giorno su Twitter.

Naturalmente i giornalisti di Pubblico si sono dati da fare per divulgare quanto più possibile le parole di Tonino Di Pietro. E’ il loro lavoro e lo fanno pure bene.

Ma se foste stati più attenti ed aveste seguito esclusivamente il flusso di tweet aventi l’hashtag #PubblicoLive, vi sareste certamente interessati ad alcuni utenti particolarmente eccitati dalle parole di Di Pietro e nemmeno sfiorati dall’idea di lanciare lì qualche domanda scomoda. Anzi, ogni parola del Leader viene accompagnata da esclamazioni di giubilo. Ho provato a vedere di chi si trattasse. Grazie ad Hootsuite, ho potuto vedere istantaneamente che c’erano alcuni account che utilizzavano tutti indistintamente la piattaforma Sprout Social. Inoltre, le foto di questi utenti erano chiaramente foto “con il trucco”: date una occhiata ai profili Twitter di @GiuseppeSionett, @panealpane, @giomarcucci, @AnnaGardini, @AlessioDeLuca4, @mirianasantoni, @GiuliaBernini1. Questi sono alcuni dei tweet di giubilo che hanno spinto #PubblicoLive fra i primi tre TT del giorno:

Un’altra prova a suffragio della tesi che Tonino si sia portato dietro una claque fatta di Twitter-Bot proviene dal fatto che tutti questi account hanno retwittato il 25 Settembre scorso un post di Gianfranco Mascia (quello del Popolo Viola alias Bo.Bi, Boicottiamo il biscione, uno dei professionisti dell’antiberlusconismo):

 

 

 

 

 

Insomma, credo che basti. Verificate anche voi, se volete. Diciamo che l’approccio al web da parte di questi politici (che fanno di tutto per essere 2.0) è alquanto errata. Forse mal suggeriti dagli esperti del web marketing, finiscono per dopare i propri profili sui social network e a gonfiare le fila di poco frequentate discussioni in diretta streaming. Dispiace che i tipi di Pubblico Giornale siano stati coinvolti in questa triste messinscena.

A different place: Beppe Grillo va sul Washington Post

Cominciamo dalla conclusione, ovvero dalle parole – tradotte in inglese – di Giovanni Favia: “The figure of Beppe Grillo is a necessity if Italy is going to be a different place”. Grillo come una necessità, se l’Italia vuol essere un paese diverso. Ma l’impressione che se ne ricava, se nulla ne sapessimo, leggendo le tre pagine che il Washington Post dedica al fenomeno 5 Stelle, sarebbe una brutta – bruttissima – impressione.

La questione della partecipazione dal basso emerge solo ed esclusivamente per il famoso fuorionda di Favia a Piazzapulita. Del resto, si intuisce appena che il M5S sia un movimento a sé stante, mentre la figura di Grillo campeggia quasi come quella di un nuovo Berlusconi, ed è pericolosa come Berlusconi. Nel testo, Grillo è accostato a leader populisti europei, come Le Pen in Francia, Stronach in Austria e Geert Wilders in Olanda. Il personalismo, in questa ricostruzione, è preminente. La vulgata a 5 Stelle dirà che è un articolo pagato da qualche partito italiano o opera del complotto mondiale delle Banche che sostiene il Monti-bis. Più probabilmente questo articolo è molto più fedele di quanto non lo siamo noi, che ci vediamo con i nostri troppo generosi occhi. Forse non ci siamo accorti che stiamo sostituendo un personalismo televisivo con un personalismo a mezzo blog. Per essere effettivamente un “different place” dovremmo avere la “fiducia e il coraggio” (prendo in presto queste parole di Civati) di riformare il sistema partitico in senso maggiormente partecipativo e inclusivo e trasparente, esattamente ciò che la politica non fa e che Grillo dice di voler fare ma è il primo a non praticare.

Grillo raccoglie il sentimento antieuropeista dalla estrema sinistra. Con il consolidato argomento che l’Unione Europea è una macchina costruita dalle plutocrazie europee allo scopo di scippare il popolo della sua sovranità, Grillo aggiunge e fonde ad esso la retorica anti moneta unica e anti austerità, temi di forte presa sul “pubblico” alle prese con la più forte recessione dal 2009 (cosiddetta double-dip). Le medesime argomentazioni sono impiegate da Paolo Ferrero, FdS. E da Berlusconi, seppur con accenti diversi. L’idea di Europa come unione pacifica di stati, come superamento del dogma della sovranità assoluta e della forma della Nazione-Potenza, non viene nemmeno lontanamente sfiorato. L’Europa è un nemico burocratico, che ci tratta come numeri, che cancella posti di lavoro tracciando righe su fogli di carta. Un nemico che non ha volto ma che il leader populista agita come uno spettro. Non è del tutto sbagliata la dichiarazione del giornalista Massimo Franco al Washington Post: “Grillo represents a sort of blurring of the far left and far right” (Grillo rappresenta una sorta di con-fusione dell’estrema sinistra e dell’estrema destra). Da un lato si depreca l’uso di denaro pubblico per alimentare il sistema politico, dall’altro si chiede che la mano pubblica gestisca le utilities municipali, in un sorta di riedizione dello Stato sociale degli Settanta in un’epoca in cui i bilanci pubblici sono soggetti a forti cure dimagranti.

Il collante vero, ed è ciò che sfugge all’auto dell’articolo del WP, ciò che coagula questa massa critica che è ormai divenuto il “pubblico” dei 5 Stelle, è l’ideologia della democrazia diretta, una forma di governo che gestisce il rapporto cittadino-stato attraverso i new media e quindi lo meccanizza attraverso il software. L’idea è totalizzante: l’individuo è sussunto in una sorta di plebiscito quotidiano, in una deliberazione perpetua, che comunque non potrà mai essere immediata, ma è gestita, guidata, anticipata dal marketing politico e dai software di gestione dei flussi di informazione. Il grande inganno risiede nel fatto che la rete non è libera. Grillo dice che la rete è invincibile, che è autocorrettiva, ma egli stesso è un campione del marketing politico. E usa la rete come un media alternativo, avendo egli perso le chiavi di accesso al media di massa per eccellenza, la televisione. Il suo linguaggio è un linguaggio diverso da quello di Wilders. Non è un linguaggio causale, ma agisce sempre attraverso ripetizioni, attraverso l’uso dei nomi distorti, attraverso la retorica anticasta, alimentando la corrente dell’indignazione. Ed è attraverso il motore dell’indignazione che Grillo a sua volta alimenta il proprio bacino elettorale potenziale. Di ciò non c’è traccia nell’articolo del Washington Post e, se mi permettete, questa è infine la vera novità del fenomeno del “the funny man”.

Grillo apre la via della Politica 2.0? E’ effettivamente una rivoluzione profonda la sua, anche rispetto ai più avanzati progetti di marketing virale applicati al campo politico, come poteva esserlo la campagna Obama-Biden del 2008. Grazie al M5S, una nuova generazione di cittadini viene socializzata alla politica. Ma – a mio avviso – il suo progetto rischia già di essere vecchio. Grillo dinanzi alla esplosione dei social-media è fondamentalmente disarmato (Facebook nel 2008 in Italia contava 700.000 profili, oggi 21 milioni). Grillo non è un attore nel mondo del tweeting. Lui e il suo staff curano la diffusione dei contenuti anche sulla rete di contatti che si dipana da Twitter o da Facebook, ma le interazioni sono quasi nulle. Potrei definire il rapporto di Grillo con il web come uno-molti. Ed è anche unidirezionale. Esattamente l’opposto di ciò che propaganda. Qui si cela l’inganno. Ma sulla stampa estera spicca la figura del leader populista. Per questa ragione, e non altre, si può dire che l’analisi del WP è superficiale. L’anomalia Grillo non è semplicemente una anomalia partitica, ma costituisce l’apertura del mondo politico a un tipo di interazione che è mediata dalla macchina software. E si tratta solo di metà della rivoluzione. Che avverrà pienamente soltanto quando il flusso informativo avverrà in ambedue le direzioni, da e verso il leader/rappresentante/eletto. L’inquadramento dato dal WP a Grillo è per queste ragioni deficitario.

Il #29s chi era costui

Colpisce lo spazio che le testate online hanno dato alla manifestazione di ieri a Madrid e a Lisbona. Due paesi si ribellano ai piani di austerity imposti da Bruxelles e la stampa sembra trattare qualche centinaio di migliaia di persone come fossero una triste e noiosa normalita’. Nessun giornale apre la propria home con i fatti di piazza Neptuno. Il #29s ha guadagnato appena un box fotografico, o qualcosa di simile.
Non parlo solo delle testate online italiane, ma anche di El Pais, che pure ha trasmesso la diretta streaming.  Anche se a loro discolpa bisogna aggiungere che il caos della secessione della Catalunya e’ evidentemente preminente rispetto anche al Rescate di Bankia.
Tutto il flusso di informazioni che passava attraverso twitter sembrava come una corrente a se’ stante, e il #29s e’ stato trattato dai media tradizionali come un mero problema di ordine pubblico. Chi ha seguito le dirette twitter avra’ certamente avuto l’impressione di partecipare ad un evento storico, un evento che cambiera’ le sorti della democrazia spagnola o piuttosto che fara’ intraprendere al suo governo decisioni restrittive in materia di liberta’ di manifestare. Piu’ volte la piazza ha chiesto le dimissioni di Mariano Rajoy, ma la piazza pare essere l’ultimo dei problemi per il primo ministro. Da un lato il caso Catalunya, dall’altro Bankia e l’esito negativo degli stress test; Rajoy sembra appeso per i capelli e l’eventuale caduta del suo governo aprirebbe la strada alla dissoluzione del paese.

La guerra di Camisani Calzolari ai grillini BOT – parte II

Marco Camisani Calzolari, il docente dello Iulm, non ci sta e risponde alle critiche verso la sua ricerca sui followers falsi di @Beppe_Grillo ripetendo il test e pubblicandolo integralmente sul suo sito. Il documento è consultabile a questo link:

http://digitalevaluations.com/DE-Twitter-Politici.pdf

Leggendo questo documento potreste anche voi fare il test e assegnarvi un punteggio. Siete un utente “umano”, un BOT o un incerto? Ecco i criteri che ci distinguono dai BOT:

Caratteristiche associabili a comportamento "umano" che valgono un punto:

  • Il profilo contiene un nome
  • Il profilo contiene un’immagine
  • Il profilo contiene un indirizzo fisico
  • Il profilo contiene una biografia
  • L’utente ha almeno 30 follower
  • L’utente è stato inserito in una lista da altri utenti
  • L’utente ha scritto più di 50 post
  • L’utente è stato geolocalizzato
  • Il profilo contiene un URL
  • L’utente è stato inserito tra i preferiti di qualche altro utente
  • L’utente usa la punteggiatura nei suoi post
  • L’utente ha usato almeno una vota un hashtag nei suoi post
  • L’utente ha usato un iPhone per accedere a Twitter
  • L’utente ha usato Android per accedere a Twitter
  • L’utente ha postato con Foursquare
  • L’utente ha postato con Instagram
  • L’utente ha usato il sito web Twitter.com
  • L’utente ha scritto lo userID di un altro utente all’interno di almeno un post
  • L’utente ha un numero di follower che se moltiplicato per 2 è maggiore dei following
  • L’utente pubblica contenuti che non contengono URL

Caratteristiche associabili a comportamento "umano" che valgono due punti:

  • Almeno un post è stato retwittato da altri utenti

Caratteristiche associabili a comportamento "umano" che valgono tre punti:

  • L’utente ha avuto accesso a Twitter attraverso client diversi

Caratteristiche associabili a comportamento "BOT" che valgono un punto:

  • Usa solo API

Per ogni caratteristica nell’elenco "umano" che non totalizza punti, sarà assegnato un punto "BOT" ad esclusione delle seguenti caratteristiche:

  • l’utente ha usato differenti client
  • l’utente utilizza il sito web
  • l’utente ha usato Android
  • l’utente ha usato iPhone
  • l’utente ha postato con Foursquare
  • l’utente ha postato con Instagram

Caratteristiche associabili a comportamento "BOT" che valgono due punti:

§ Nessun post è stato retwittato da altri utenti

Se la singola caratteristica di comportamento "umano" risulta vera, vengono assegnati i relativi punti "umano". Se risulta falsa vengono assegnati i relativi

punti "BOT". Viceversa per ogni singola caratteristica di comportamento "BOT", se risulta vera, vengono assegnati punti "BOT". Se risulta falsa vengono assegnati

punti "umano".

Il codice segreto di #Radiolondres: come twittare le presidenziali francesi

[Dalle ore 20 exit poll su twitter con hashtag #Radiolondres]

In Francia non si può parlare delle elezioni presidenziali su Twitter e in generale sui social network. Lo stabilisce una legge che vieta espressamente di divulgare informazioni circa i risultati del primo turno elettorale prima della chiusura dei seggi, posto alle ore 20 di questa sera. La legge in questione esiste già da qualche anno e non è corretto parlare di censura. Le autorità preposte per vigilare sulla regolarità del voto come faranno a prevenire la diffusione incontrollata e prematura degli exit poll? Semplice. Gli exit poll sono commissionati alle agenzie di sondaggio. Se venissero divulgati i dati prima delle otto, le agenzie rischiano multe salatissime; i francesi l’annullamento del voto.

Pensate che ciò basti mettere il bavaglio a Twitter? C’è chi ha inventato il codice di  #Radiolondres: come durante la seconda guerra mondiale, quando la radio clandestina parlava in codice alle forze resistenti al nazismo, così i francesi si scambieranno le informazioni sugli exit poll anche prima della chiusura dei seggi. Il codice #Radiolondres è stato inventato da @BouLoulouduu77:

Il senso di @VeltroniWalter per Twitter

Italiano: L'On. Walter Veltroni, per la rappre...

(Photo credit: Wikipedia)

La vicenda Calearo, apertasi con le dichiarazioni del deputato ex PD a Radio24 (“non vado in parlamento ma mi tengo lo stipendio”), ha avuto ieri sera un inatteso sforamento su Twitter. Inatteso perché uno si aspetta, che so, una agenzia di stampa, un lancio Ansa, con il tal politico che rilascia dichiarazioni e si sottopone alle domande dei giornalisti ivi presenti. E invece no. Al tempo di Twitter, le agenzie di stampa vengono completamente dribblate dal politico, così i loro giornalisti. E i giornalisti nelle redazioni non possono far altro che rincorrere il loro Blackberry o l’iPhone o il tablet o sedersi rassegnati.

Ma procediamo con ordine.

Succede che @VeltroniWalter, account ufficiale e evidentemente gestito dal politico Walter Veltroni, si sente in dover di rispondere alle critiche del “popolo-della-rete” – naturalmente ‘insorto’ contro le dichiarazioni del Calearo, deputato ceerleader del PD veltroniano, anno domini 2008 – e lo fa il sabato sera, stando a malapena dentro i 140 caratteri e con una sintassi che a tratti sembra andare in crisi:

Quindi Calearo è una “persona orrenda”, ma la colpa di averlo portato alla Camera non è di Veltroni bensì di tutto il PD che l’ha votato all’unanimità. Ne consegue che Veltroni non può accettare critiche, soprattutto da chi ha fatto cadere il governo Prodi – due volte! a chi si riferisce? A D’Alema? – né da coloro i quali hanno “compiuto errori gravissimi”. Fine delle comunicazioni. Veltroni affida il proprio vomito dichiarativo a Twitter poi se ne va. Si scollega? Abbandona sul comodino il suo iPhone? Si addormenta sul divano in un mestissimo sabato sera ascoltando la meravigliosa intervista di Fabio Fazio a Er Circoria detto Rutelli? Non è dato a sapere. Veltroni non impiega Twitter per sottoporsi al confronto con “gli Altri”. Lo usa solo per NON avere alcun confronto, per non essere contraddetto, per instillare nella pubblica discussione affermazioni impacchettate, e basta. E allora l’uso che tu, Politico, fai dei social network, diventa una misura del valore che dai alla relazione con chi non è come te, privilegiato e protetto dentro al Sistema. Laddove puoi esporti alla pubblica e libera discussione e non puoi proteggerti dalla mediazione professionale e giornalistica del conduttore televisivo, mostri la paura intrinseca dell’uomo per la parresia. La “parola libera” ti confonde, è terra straniera, una terra in cui uno conta uno, e si è soli, senza scorte né ‘armature’.

@VeltroniWalter dinanzi a tutto ciò fa una cosa sola: scappa.

Il senso di Marta Vincenzi per le Primarie

Fra i luoghi comuni dei giornalisti italiani, oltre alla figura retorica del popolo del web, del popolo de web che si indigna e che si ribella come un ‘sol uomo’, aggiungerei ora quella del PD che perde le primarie. La disfatta del PD. E’ sempre una disfatta, per il PD. Mai si dice che hanno vinto gli elettori. Mai si dice che è pure nella logica delle primarie di coalizione il fatto di perdere una competizione elettorale fra esponenti del medesimo schieramento partitico. Altrimenti, se si volesse sempre vincerle le primarie, si potrebbe anche non farle. Molto più comodamente, senza chiedere due euro a nessuno.

Ma tant’è, oggi è anche andato in onda un caso più unico che raro di sfogo via twitter – che ho documentato a sufficienza qui – del sindaco di Genova Marta Vincenzi, già annichilita dall’alluvione di novembre e da quella leggerezza colpevole con cui si affrontò l’emergenza, incapace a mio modo di vedere di comunicare con la città né attraverso il dolore né attraverso il raziocinio. Vincenzi si è paragonata a Ipazia, martire uccisa dal fondamentalismo cristiano nel 370 d.C., ha sbraitato contro tutti, guadagnandosi peraltro una fila di commenti ingenerosi sulla sua pagina facebook. Ne scriveranno i giornali, domani, e potrete indignarvi per le sue parole.

Il punto è un altro. E cioè che il PD vince ogni volta – dico ogni volta – che si riescono a celebrare le primarie. Perché se esistono due candidati del PD a Genova, entrambi perdenti, è grazie alle primarie. Se esiste un candidato di una lista civica, il professor Doria, che può andare allo scontro con il candidato di centro-destra, è sempre grazie alle primarie. Soprattutto, è grazie alle primarie che questo candidato è il frutto della scelta dei cittadini, sì, dei cittadini, e non della scelta di un gruppo dirigenziale di un partito chiuso in quattro pareti in un palazzo di Roma. Continuare a sottoporci la medesima raffigurazione del PD diviso, del PD lacerato, del PD confuso, è sbagliato. Il clima a Genova non è più un clima favorevole all’attuale sindaco. Il clima è cambiato. E’ bene rendersene conto. Gli elettori del PD lo hanno detto ieri, e dico pagando di tasca propria due euro, che non era più il caso di proporre la Vincenzi. Lei non se ne è accorta. Chiusa nel proprio tormento, ha evitato di guardarsi attorno quando invece l’unica decisione da prendere era di ammettere le proprie responsabilità nei giorni successivi all’emergenza.

A molti – e anche al sottoscritto – la boutade su twitter era subito parsa eccessiva, forse frutto di un hackeraggio del suo account. Ma ancor più eccessive sono le dimissioni dei segretari provinciale e regionale del PD, Basso e Rasetto. In che modo e in che senso il loro operato è stato messo in discussione dall’esito delle primarie? Non è possibile che pezzi del partito crollino a terra come cornicioni ogni volta che un candidato PD perde delle primarie. Ora il candidato PD a Genova è Marco Doria. E basta.

#Londonriots non è Londoncalling

Diretta twitter #londonriots

L’ottimo Fabio Chiusi su Il Nichilista racconta della rivolta londinese con taglio “social”: la guerriglia urbana di Tottenham corre sulla messaggistica istantanea Bbm, una app di Blackberry, la tecnologia sviluppata dalla RIM che impiega la connessione internet ‘mobile’ o una rete wi-fi per scambiare brevi messaggi di testo. Di fatto, una chat. Il sistema della RIM è stato di recente posto sotto accusa dai governi dell’India e degli Emirati Arabi Uniti (EAU) poiché essi non possono avere alcun controllo sui messaggi scambiati dagli utenti sulla rete Bbm. L’India aveva minacciato persino di bloccarla. Sulla rete Bbm, dicono gli EAU, corrono i messaggi dei terroristi.

Può stupire che la rivolta londinese sia una rivolta in “Blackberry”, uno status symbol, qui da noi, della classe dirigenziale, degli impiegati quadro, dei manager. In realtà avere il Blackberry è piuttosto comune per i giovani londinesi: ricorda Chiusi che la rete Bbm è la più utilizzata dai ragazzi in Inghilterra. Non è quindi puramente una rivolta dei ricchi, viziati giovani punkabbestia che saccheggiano le vetrine per farsi qualche capo firmato. Si tratta di saccheggio, certo. Di rivalsa della periferia nei confronti della City. E’ errato però parlare di ritorno alla Londra del punk, della miseria e della Thatcher. Sbagliato citare London Calling. E’ una operazione nostalgia, perché di quegli anni nulla è rimasto. Non c’è la politica dietro #londonriots. C’è invidia sociale:

Se a rivoltarsi sono giovanissimi, spesso immigrati, usciti da scuole disastrate e a pezzi, che vivono in quartieri dormitorio tra discariche e centrali elettriche, che passano il tempo al centro commerciale, che non hanno un lavoro, a cui vengono tolti i fondi per le poche attività pubbliche presenti in loco, che non hanno prospettiva di alcun futuro e non hanno una lira in tasca, vi aspettate forse che escano in strada per leggere comunicati contro gli speculatori finanziari? Fanno quello per cui sono stati accuratamente preparati da una scuola schifosa, una tv demente, un governo che punta a tenerli nell’ignoranza: spaccano tutto e si appropriano della roba, qualunque roba sia (D. Billi, V per Vetrine, Crisis, What Crisis?).

I giovani del 1985, anno della precedente rivolta di Londra, erano bianchi, drogati, indolenti, menefreghisti – we don’t care, cantava Johnny Lydon dei Sex Pistols – solo in parte “contro il sistema“, contro la macchina omologante:

Londra sta chiamando le città sperdute / Ora che la guerra è stata dichiarata-e-la-battaglia è finita / Londra sta chiamando l’oltretomba / Venite fuori dall’armadio, tutti voi ragazzi e ragazze / Londra sta chiamando, ora non guardateci / Tutta questa falsa Beatlemania ha fatto mangiare tanta polvere / Londra sta chiamando, guardate che non siamo cambiati / Eccetto per l’anello di quel manganello (The Clash, London Calling).

Tottenham nel 1985 esplose di rabbia come oggi, 2011. I giornali parlavano della peggior rivolta della storia su suolo inglese:

“E’ stata la più violenta azione di guerriglia urbana mai scatenata sul suolo britannico e per la prima volta (esclusa la tragica eccezione nordirlandese) contro la polizia sono stati sparati colpi d’arma da fuoco. Ieri in un’alba grigia e piovosa, rischiarata dagli ultimi focolai d’Incendio, le autorità hanno chiuso il conteggio delle vittime: un poliziotto colpito alla gola con un machete e morto appena giunto in ospedale, altri tre agenti e tre cronisti raggiunti dalle pallottole, probabilmente, di un fucile da caccia, venti poliziotti ancora ricoverati per le ferite riportate negli scontri (mentre altri 200 contusi sono stati dimessi dopo le medicazioni)” – (La Stampa, 9 ottobre 1985, Archivio Storico).

Gli scontri, secondo le cronache dell’epoca, erano “strumentalizzati e spinti a un parossismo di violenza da «agitatori» neri e bianchi provenienti da altri quartieri della capitale o da altre città”; erano bande di militanti neri in divisa scura (antesignani dei Black Bloc), drappelli di anarchici e trotzkisti “aizzano i più scalmanati della comunità di colore, partecipano e dirigono gli scontri” (La Stampa, cit.). I comunisti si nascondevano fra la folla e aizzavano le deboli menti dei giovani londinesi? E’ una interpretazione figlia del suo tempo, della divisione Est-Ovest, del pericolo rosso e della guerra nucleare. Nonostante ciò, anche allora si parlava di incendio a sfondo razziale. Ma davvero c’entrano le etnie?

Tottenham ha una tradizione di quartiere ribelle, storicamente contro la polizia. La crisi inglese del 1985 e quella odierna hanno come comune denominatore la lenta progressiva deindustrializzazione del paese. Nel 1985 veniva delocalizzato il tessile, oggi tutti gli altri settori. Le grandi multinazionali inglesi lasciano tutte il paese per investire i propri denari nell’Est Europa o in Cina. I giovani inglesi non hanno lavoro. Non hanno pane. Ma hanno il Blackberry.

sta arrivando l’età del ghiaccio, il sole sta salendo / Le macchine si fermano e il frumento cresce / Un errore nucleare, ma non ho nessuna paura / Londra sta annegando- e io vivo presso al fiume