Iraq | Altre due autobombe a Tikrit. A Fallujah è emergenza umanitaria

Un convoglio Isil in direzione di Mosul - via @ajaltamini

Un convoglio Isil in direzione di Mosul – via @ajaltamini

Sei iracheni sono rimasti feriti nell’esplosione contemporanea di due autobombe oggi, Lunedi, a est e a nord della città di Tikrit. Fonti della sicurezza locale hanno affermato che “un’autobomba è esplosa nei pressi di un grande mercato (Tuz Khurmatu) a est di Tikrit, ferendo due civili” . Una seconda autobomba parcheggiata al lato della strada è esplosa nel centro del quartiere Sharqat (120 km a nord di Tikrit): quattro civili sono stati feriti (http://www.azzaman.com/).

L’attacco qaedista sta procedendo sempre con una strategia concentrica verso la capitale. Il giornale Kitabat.com rivela che le condizioni umanitarie della città si stanno rapidamente deteriorando: “la situazione vissuta dalla città è terribile a causa dell’interruzione dell’energia elettrica, acqua e altri servizi di base”. Si tratta di una città di cinquecentomila abitanti. Centinaia di famiglie si sono spostate ad est della città. Sono segnalate gravi carenze di cibo e di prodotti agricoli, di carburanti: i prezzi dei beni sono elevati e tutti i punti vendita hanno chiuso una settimana fa, “nonostante le suppliche di religiosi, capi tribali e cittadini per consentire l’ingresso di merci e cibo in città per sollevarla dall’assedio”. La città è completamente sotto il controllo di ISIL, mentre l’area locale è nelle mani delle forze militari irachene. La situazione di blocco rende impossibile qualunque scambio con l’esterno. L’interruzione dell’erogazione dell’acqua è determinata dalla fuga dei funzionari e dei tecnici del locale ente di gestione. Sempre secondo kitabat.com, nella città si aggirano uomini vestiti di nero ed equipaggiati con armi automatiche e razzi, granate, anti-carro. La commistione fra miliziani e civili renderà molto rischioso il tentativo del governo Maliki di riprendere il controllo di Falluja.

Iraq | Al-qaeda attacca Falluja e Ramadi mentre Baghdad è in fiamme

Fighters of al-Qaeda linked Islamic State of Iraq and the Levant parade at Syrian town of Tel Abyad

Dal 3 Gennaio sino a qualche ora fa, Falluja è stata sotto il controllo delle milizie di ISIL, una formazione qaedista il cui acronimo significa Stato Islamico dell’Iraq e del Levante e dove Levante significa parte della Siria. Mentre si scrive, alcuni tweet rilanciano la notizia secondo la quale le tribù locali della Regione di Anbar avrebbero ripreso il controllo – almeno – di Falluja mentre il paese è scosso da attentati. Un attacco è stato portato ad una base militare congiunta USA-Iraq nel distretto di Ghanikhel della provincia orientale di Nagarhar, mentre una bomba ha colpito la capitale, Baghdad, provocando 14 morti (ANSA).

Gli Stati Uniti hanno mantenuto una linea di non interferenza. Il Segretario di Stato, John Kerry, afferma che potrebbero fornire supporto ma non mediante truppe di terra.

https://twitter.com/housingforvets/status/419812741973815298

Secondo altri tweet, sarebbero invece le milizie di ISIL vicine al controllo totale di Falluja (Kevin Pina, giornalista cita il NYT, ma l’articolo riferisce di eventi accaduti ieri) e l’attacco simultaneo è ora condotto in almeno altre cinque città.

Le due città, Falluja e Ramadi, sono governate dalla maggioranza sciita, ma la regione di Anbar è prevalentemente sunnita. Già durante il 2006-2007 fu respinto un attacco qaedista mediante l’alleanza sunnita-sciita – sotto l’egida degli Usa. Ma il gruppo ISIL ha una finalità più ampia che sarebbe quella di costituire uno stato ordinato secondo i rigorosi principi della pratica islamica sunnita medievale attraverso il confine iracheno-siriano. Questo obiettivo ha unito i potenti gruppi qaedisti che lottano contro Assad (Al Jazeera).

LIVEBLOGGING

16.05 I morti a Baghdad per le bombe sono circa 15; i feriti quaranta.

16.17 La posizione dell’ayatollah ALi Khamenei viene divulgata tramite l’account @khamenei_ir: le tre etnie della regione, Sunniti, Sciiti e Curdi stiano attente, ben due le crisi in altrettanti paesi. La guerra civile è la rovina del futuro di un paese.

16.25 Mentre Kerry spiega di non voler impegnare truppe nella battaglia di Falluja, il senatore John McCain e Lindsey Graham stanno attaccando a testa bassa l’amministrazione Obama per la sua politica in Iraq. Un pressing che è destinato ad aumentare qualora il PM Maliki non riuscisse a fronteggiare l’offensiva qaedista.

La propaganda repubblicana spinge sull’emotività delle morti del 2004-2006, quando Falluja fu confine di sangue per le truppe americane. Se l’amministrazione Obama non prende iniziative, quei morti lo sono stati invano.

La reazione da parte democratica tende invece a sottolineare l’inutilità dell’intervento militare. Dodici anni di guerra sono trascorsi invano:

16.48 Così AP/The Guardian descrivono ISIL, la formazione qaedista che opera in Medio Oriente:

ISIL è anche una delle più forti unità ribelle in Siria, dove ha imposto una versione rigorosa della legge islamica nei territori che detiene e rapito e ucciso chiunque critichi le sue regole. Inoltre Sabato, ha rivendicato la responsabilità di un attentato suicida in un quartiere dominato dagli sciiti in Libano (http://www.theguardian.com/world/2014/jan/05/iraq-general-al-qaida-fallujah).

17.30 Falluja è caduta interamente sotto il controllo di Al-qaeda

17.53 L’Iraq lancia l’attacco aereo su Ramadi. Inoltre, secondo Al Arabiya, l’Iran sarebbe pronto a dare aiuto militare al governo iracheno.

18.19 France24: l’Iraq starebbe preparando l’attacco a Falluja

18.26 The Guardian riporta le informazioni sugli attentati di oggi a Baghdad da parte della polizia locale:

Le autorità dicono che gli attentati a Baghdad hanno ucciso almeno 15 persone e provocato decine di feriti. La polizia afferma che il più mortale degli attacchi di oggi ha avuto luogo nel quartiere Shaab a nord di Baghdad, quando due autobombe parcheggiate sono esplose simultaneamente vicino a un ristorante e una casa da tè. I funzionari dicono che l’esplosione ha ucciso 10 persone e ne ha ferite 26. Un altro attentato ha ucciso tre civili e provocato il ferimento di altri sei in una zona commerciale nel quartiere centrale di Bab al-Muadham. Tutti i funzionari hanno parlato a condizione di anonimato perché non erano autorizzati a rilasciare informazioni

In realtà, le tre città (Fallujah, Ramadi e Karma) in cui le milizie di Al-qaeda hanno attaccato, sono molto vicine alla capitale:

iraq

 

19.56 Le reazioni della stampa americana sono molto deboli. La battaglia di Falluja era stata la più sanguinosa per i marines, nel 2003. Oggi i giornali americani dedicano ai fatti solo qualche box laterale, qualche video. Anche il prestigioso The New York Times parla dell’escalation qaedista in Iraq in un commento generale dell’area del Medio Oriente. Alcuni commentatori su Twitter lamentano l’assenza di iniziativa di Obama e parlano apertamente di ‘sangue’ buttato, riferendosi alle numerose perdite del 2003.

Siria, futuro plurale

Siria, futuro plurale – di Vanna Pisa

Il labirinto siriano è formato da numerosi percorsi che si intrecciano nello spazio e nel tempo. Questioni religiose, geopolitiche, economiche, sociali e culturali.
Come sappiamo USA e Russia stanno spostando ingenti forze militari nello scacchiere siriano: Assad per certi versi è un pretesto, lo scontro è mosso anche da potenti fattori economici.
Da una parte Russia e Iran, ambedue sponsor del regime di Assad. Nelle alleanze che coinvolgono gli attori del medio Oriente il rapporto tra SIRIA e IRAN rimane forte, hanno in comune l’interesse a depotenziare l’influenza delle monarchie del Golfo e dell’asse arabo – sunnita formato da Giordania, Egitto, Arabia Saudita.
Dall’altra gli Usa, che devono sostenere il primato del dollaro. Secondo questo dogma, le materie prime non devono essere commerciate in valute diverse ed è per questo che gli Stati Uniti hanno tutto l’interesse a mantenere la forza in questo senso e ad evitare che i commerci diventino sempre più indipendenti dal signoraggio del dollaro.
Le petromonarchie, dopo le cosiddette “primavere arabe”, sono assai preoccupate: la possibilità, seppur remota, di una democratizzazione dei loro paesi le sconcerta e mette in pericolo il monopolio da loro esercitato sulle fonti energetiche.
Non è il caso di fornire per l’ ennesima volta l’elenco delle ragioni della crisi siriana. In questo periodo sulla carta stampata, in rete, nelle televisioni è possibile trovare innumerevoli liste che dettagliatamente, in maniera più o meno approfondita, danno informazioni in proposito. Quello che però assai spesso manca è la profondità temporale, intendendo con ciò quello che lo storico francese F. Braudel chiamava “la lunga durata “: vanno esclusi, è chiaro, gli interventi di parte, in malafede o scritti per autocompiacimento.
Quello di cui non si vuole tenere conto nell’analisi condotta nei mass-media mainstream sulla crisi siriana sono dunque i fattori strutturali legati a durate temporali di lungo periodo. Le battaglie, i re e le imprese certo contano e per noi, la cui vita comunque passa in un soffio, sono decisivi, ma, considerati per sé stessi gli avvenimenti che vorticosamente si susseguono, rischiano di accecarci e di produrre un rumore bianco nel quale nessuna linea melodica è più distinguibile.
Che ci sia o meno un’intervento armato non è certo cosa senza importanza. Lo vediamo in questi giorni di frenetica attività diplomatica, l’abile proposta russa di consegnare le armi chimiche siriane a una terza parte neutrale , il solito ONU tanto per capirci. Ma non sarà un percorso facile .
Il direttore generale dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, l’ambasciatore Ahmet Üzümcü, ha accolto come significativo l’accordo sulle armi chimiche in Siria, annunciato a seguito di colloqui a Ginevra tra il Ministro degli Esteri della Russia, Sergey V. Lavrov , e il Segretario di Stato John Kerry.
A seguito saranno adottate le misure necessarie per attuare un rapido programma per verificare la distruzione completa delle scorte di armi chimiche della Siria, impianti di produzione e altre funzionalità importanti. Della Opwc non fanno parte altri sei Paesi oltre la Siria: Israele, Birmania, Angola, Egitto, Corea del Nord, Sud Sudan (tratto da Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons).
La proposta russa è rafforzata, poi, dall’opinione avversa alla guerra della maggioranza dei cittadini dei paesi che dovrebbero intervenire per sanzionare Assad. Ed è una cosa che conta in primis per la popolazione che, già massacrata e martoriata da entrambe le parti in lotta nella guerra civile siriana, vedrebbe aumentare le sue spaventose sofferenze. E’ utile ricordare un fatto: la resistenza siriana è quanto di più frammentato si possa immaginare.
Se per prendere una scorciatoia vogliamo suddividerla in democratica e jihadista, bisogna aver chiaro che tali termini forniscono solo delle etichette assai approssimative, comunque qualche barlume lo danno, si pensi all’appello diffuso in questi giorni da Al-Zawahiri, il capo di Al-Qaeda, alle formazioni jihadiste di non stringere assolutamente alleanze con le formazioni “miscredenti”.
Chi andrebbero a favorire allora gli USA e i suoi partner? Altri Stati stanno facendo giochi non lineari. Viene in evidenza il ruolo francese e tedesco. La Germania è in “lotta” con la Francia per la supremazia in Europa, Parigi e Berlino concorrono per diventare perno dell’UE. Sono inoltre significative le immagini apparse nei social network di soldati americani che espongono cartelli nei quali affermano di non voler combattere per far vincere Al-Qaeda. Non possiamo poi dimenticare che l’ ultimo intervento in ordine di tempo delle potenze occidentali, in Libia, si sta rivelando un vero e proprio disastro, il paese è in preda all’anarchia. Centinaia di formazioni armate basate sulle più svariare motivazioni clanite, tribali, religiose, cittadine, si combattono ogni giorno alle volte per questioni di mera sopravvivenza.
Un potere centrale ed unitario, uno Stato, non si scorge all’orizzonte.
Che dire d’altronde dei risultati ottenuti in Iraq e Afghanistan?
E perché gli Stati che giustamente prendono posizione contro un dittatore qual è, senza dubbio, Assad, non intervengono concretamente per soccorrere i milioni di profughi siriani che strabordano nei paesi limitrofi, per andare a vivere in condizioni allucinanti nei campi profughi che crescono senza sosta?
Oppure che dire del confronto tra Israele e l’ Iran? Quest’ultimo tiene sotto pressione Israele, impedendole , o almeno cercando di ritardare i programmati raid contro i suoi siti nucleari, attraverso i suoi alleati sciiti, la Siria, Hezbollah, Hamas, rifornendoli di armi, soprattutto missili.

Dunque, va ripetuto, non è indifferente se vi sarà un attacco o meno, ma, quello che rimane  indubitabile, è che non risolverà nessuna delle questioni alla base della crisi siriana, perché nelle vicende storiche, per citare il verso di Stephane Mallarmé: “giammai un colpo di dadi abolirà l’ azzardo”, ovvero assai difficilmente un’intervento modificherà nel profondo una situazione storica. I cambiamenti, ci piaccia o meno, avvengono lentamente, dolorosamente e non sono guidati da nessuna legge.

Al-mifr, capire l’Egitto

Egitto, continuano le proteste

Al-mifr, capire l’Egitto – di Vanna Pisa.

Al-mifr significa “il mondo” ed è il nome dell’ Egitto nell’universo arabo. La valenza simbolica di tale nome è più che evidente. L’Egitto
non è nei paesi arabo – islamici un paese come gli altri poichè molti sono gli attori impegnati nel gioco della conquista del potere: i principali sono l’ esercito e i movimenti dell’ ISLAM politico: Fratelli musulmani e Salafiti, le tribù beduine del Sinai,  i movimenti giovanili democratici . Dietro e accanto a questi protagonisti  ci sono,  inoltre, a complicare la partita, paesi e movimenti non egiziani. SI potrebbe procedere, come di solito viene fatto ed è indispensabile fare,  ad esaminare le alleanze e le forze in campo.

Per ricordare le incongruenze nei vari schieramenti, si prenda ad esempio l’islam politico.
Detto che in un paese musulmano come l’ Egitto – tenuta  in debito conto la numerosa minoranza cristiana dei  Copti –  non esiste , neanche come termine, quel campo che in Occidente viene definito laico (sono in linea di massima tutti credenti), è certamente utile adottare la definizione sopra richiamata.
Non va dimenticato che la nascita e lo sviluppo dei movimenti islamici attivi in ambito sociale e politico è legata, tra l’altro, al dissolversi dell’ impero ottomano e all’ espansione coloniale europea.
Questo campo è però, limitandosi anche al solo Egitto, diviso, i Salafiti e il loro braccio politico Al-Nour hanno appoggiato il golpe militare contro i Fratelli Musulmani e il loro braccio politico Partito Libertà e Giustizia. I due gruppi sono poi appoggiati da Stati arabi sunniti diversi: solo per rimanere  tra le petromonarchie, il Qatar sostiene i Fratelli Musulmani, l’ Arabia Saudita, i Salafiti.

Non ci si può però  dimenticare dei movimenti jihadisti, più o meno collegati alla galassia di Al-Qaeda e dei loro legami con le tribù beduine del Sinai, regione nella quale, con interventi militari più o meno mascherati da parte di un ampiamente preoccupato Israele, è in corso una feroce guerriglia che vede contrapposti Jihadisti e alcune tribù beduine e l’esercito egiziano. A livello anedottico ha un certo interesse che colui che viene indicato come il numero uno di Al-Qaeda, Al-Zahawiri, a seguito della morte di Osama bin Laden. sia di origini egiziane e abbia militato in gioventù nei Fratelli Musulmani.
Il Sinai è anche la regione che confina con la Striscia di Gaza, dove governa Hamas, costola palestinese del movimento dei Fratelli; Hamas sostenuta, quando si dice il caso, dal Qatar e dalla Turchia, paese quest’ ultimo che è uno dei più fieri oppositori nel regime militare egiziano ed è governato da uno dei partiti di maggior successo dell’ Islam politico, non arabo però, e che coltiva sogni neo-ottomani.
Questo senza aver ancora tirato in ballo U.S.A, Europa, Russia e altri Stati, non perché tutto ciò non abbia una sua indubbia rilevanza in sede di analisi, ma perché qui si vuole richiamare l’attenzione su una questione troppe volte e troppo spesso ignorata quando si interpretano gli avvenimenti egiziani: la questione economico sociale.
Il momento fusionale, unitario che porta ad abbattere i regimi dispotici e tirannici è ben noto in sede di studi storico-politici, da ultimo si rimanda allo stimolante articolo di S. Zizek ” Morte sul Nilo” (n. 1014  Internazionale). Nello stesso articolo, Zizek aggiunge che, una volta abbattuto il tiranno, inevitabilmente  ci si divide e una delle linee di faglia della divisione è quella economico-sociale. Tutti gli attori coinvolti sul tragico palcoscenico egiziano sono portatori di interessi economici, rappresentano sezioni,  parti, settori della società egiziana, hanno programmi, progetti, visioni di politica economica e di modelli sociali.

” Il colpo di Stato è guidato dal ministro della Difesa e capo dell’esercito, Generale Abdel Fattah al-Sisi. Significativamente, al-Sisi è stato definito da Morsi il generale più giovane e devoto musulmano, lo scorso anno. Si è anche addestrato ed è ben considerato a Washington, dalla leadership del Pentagono. Gli autori del colpo di Stato indicano la profondità del rifiuto verso la confraternita in Egitto. Al-Sisi aveva annunciato, la sera del 3 luglio, che il capo della Corte Costituzionale agirà da presidente provvisorio e formerà un governo ad interim di tecnocrati per governare il Paese fino alle prossime elezioni presidenziali e parlamentari. È’ stato affiancato dai leader dell’opposizione laica, cristiana e musulmana. Al-Sisi ha detto che l’esercito avrebbe fatto ogni sforzo per avviare il dialogo e la riconciliazione nazionale, accolti da tutte le fazioni ma respinti dal presidente Morsi e dalla sua Fratellanza musulmana.” (Rete-Voltaire 2013).

L’Egitto è un paese sprofondato in una terribile crisi economica che vede sempre più vaste masse di disoccupati e poveri. Accanto alla lotta per le libertà civili e politiche quella contro la povertà all’insegna del motto “pane e lavoro”, è stata ed è uno dei motivi e dei motori della rivoluzione, termine da usare con cautela, che ha portato alla caduta di Mubarak.

La tematica economico-sociale rimane centrale anche per spiegare il fallimento e la caduta di Morsi e dei Fratelli  Musulmani. Non dimentichiamo che essi hanno costruito negli 80 anni della loro storia una sorta di Welfare State parallelo rivolto ai ceti più poveri e disagiati, con particolare attenzione a quelli delle periferie e delle campagne. L’ esercito egiziano è d’altronde la più importante holding del paese: dai panifici ai resort sul Mar Rosso non c’ è settore economico di peso che non lo veda coinvolto.

Entrambi i soggetti, di fondo, condividono l’ approccio neo-liberista. Quello che è in corso è dunque anche uno scontro per conquistare il potere tra chi ha e chi non ha, all’interno delle regole capitalistiche.

In Turchia gli Islamisti hanno avuto successo: Erdoğan, fondatore del partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP), e i suoi sono riusciti, per ora, a relegare l’esercito nelle caserme, anche attraverso clamorosi processi, montati o meno che siano (si veda il caso Ergenekon, gruppo terroristico autore di numerosi golpe dal dopo guerra oggi).

Analogia interessante tra i due eserciti, quello turco e quello egiziano: in modi e forme diverse sono comunque gli alleati delle forze che non vogliono l’islamizzazione dello Stato e della società.

In Egitto l’ esercito ha potuto godere del fallimento del governo Morsi, che economicamente non ha fatto pressoché nulla per alleviare le condizioni delle classi popolari più esposte alla crisi, e politicamente ha intrapreso in maniera molto goffa e rozza un percorso di accentramento autoritario del potere e di applicazione della Sharia. I giovani, le donne, larghe sette delle classi medie cittadine non hanno per ora la forza e la capacità organizzativa per costituire una reale alternativa. D’altronde queste forze manifestano i bisogni e le esigenze di una società civile che vuole dire la sua e non ha intenzione di farsi togliere la parola dalle Istituzioni.

 Il Retroterra dello scontro: primi anni 90, Algeria.

Il Fronte Islamico della Salvezza, vincitore di regolari elezioni democratiche, va al potere. L’esercito algerino, uno degli eredi del Fronte di Liberazione Nazionale, che costrinse i francesi a far fagotto, non accetta il risultato; l’esercito, dalla fine della guerra di liberazione, è diventato il vero dominus del paese, anche in campo economico .

Sradicare il terrorismo islamico è stata la sua parola d’ordine. Una delle più terribili, brutali e atroci guerre civili che proseguirà per oltre dieci anni con centinaia di migliaia di morti, è stata la conseguenza.

La scelta militare ha radicalizzato sempre di più i movimenti islamici, sempre che si possa usare tale termine, forse anche attraverso accordi tra i servizi segreti algerini e i movimenti armati jihadisti. Questi ultimi, in cambio di una sorta di mano libera nel Sahel, si impegnano a non agire in Algeria.

Quello che sta accadendo in Mali è uno dei frutti avvelenati di questa storia, storia che forse non si ripete ma ama molto le variazioni sul tema. L’Egitto, per sua sfortuna, fa parte del tema.

I Droni possono uccidere cittadini americani

Gli Stati Uniti possono uccidere cittadini americani in operazioni militari il cui obiettivo dovesse essere un leader di al-Qaeda o gruppi terroristici che pongano una “immediata minaccia” al paese. Lo ha riferito il Dipartimento di Giustizia in un ‘libro bianco’ pubblicato lo scorso lunedì dalla NBC News. La pronuncia del Dipartimento è stata inviata dal governo ai membri della commissione Giustizia e Intelligence del Senato nella forma di un documento ‘classificato’. Di fatto si trattava della risposta del governo Obama alla interpellanza dei senatori, ma non era un atto pubblico. Questo perché faceva riferimento a un caso specifico, ovvero alla uccisione di Anwar al-Awlaki, cittadino americano e musulmano, colpito da un attacco di Droni nel Settembre 2011. L’attacco provocò la morte anche del figlio sedicenne dell’uomo. L’amministrazione Obama ha sempre rifiutato di fornire spiegazioni circa l’attacco sia ai media e che ai gruppi di difesa dei diritti civili. Obama, parlando della morte di al-Awlaki, descrisse l’uomo come il responsabile delle “relazioni esterne” della cellula in Yemen di al-Qaeda.

Il documento, intitolato “Lawfulness of a Lethal Operation Directed Against a U.S. Citizen Who Is a Senior Operational Leader of al-Qaeda or An Associated Force”, è stato definito come “profondamente preoccupante” dalla American Civil Liberty Union: “un’anomalia abnorme dell’esecutivo che assume su di sé il potere di dichiarare un cittadino americano una minaccia e lo uccide lontano da un campo di battaglia riconosciuto e senza alcun coinvolgimento giudiziario, né prima né dopo il fatto”.

Il documento del Dipartimento di Giustizia consente un’interpretazione elastica di quei concetti (la presenza di un leader di al-Qaeda o di gruppi terroristici che pongano una “immediata minaccia” al paese) e non richiede che l’obiettivo sia coinvolto in una ‘trama specifica’, perché al-Qaeda è “continuamente coinvolto nella pianificazione di attacchi terroristici contro gli Stati Uniti“.

Il documento evita di specificare tutta una serie di questioni, tra cui il livello di prova richiesto per un americano per essere considerato una figura del vertice operativo di al-Qaeda.

John Brennan fra una settimana diventerà nuovo capo della CIA. E’ il capo della Consiglio Antiterrorismo di Obama. Non è certamente estraneo ai fatti del Settembre 2011. La fuga di notizie, scrive il Washington Post, sembra niente affatto casuale. La pressione su Obama è immediatamente salita. Che dei Droni possano uccidere cittadini americani o stranieri, il cui coinvolgimento con le organizzazioni del Terrore è tutto da dimostrare, non è solo contro il Diritto ma pare essere inoltre un ritorno a quella unilateralità su cui era imperniata la politica estera di George W. Bush.

Mali, i francesi stanno per prendere Timbuctu

Lo scrive The Guardian dopo che ieri sera tardi i militari francesi hanno annunciato di aver raggiunto e liberato la città di Gao, sede di un importante aeroporto internazionale. Sarebbero appena 600 i militari francesi alla testa di una truppa composta da maliani, ciadiani e nigeriani. Timbuctu, insieme a Gao e Kidal, è una delle città più importanti del Sahel cadute sotto il controllo degli jihadisti. Questi ultimi non sembrano poter opporre una grande resistenza e sembrano sul punto di trattare la liberazione di un ostaggio francese, Gilberto Rodriguez Leal, rapito lo scorso Novembre nell’ovest del Mali.

Soldati francesi in Mali (www.saharamedias.net)

Soldati francesi in Mali (www.saharamedias.net)

Ripercorri la storia della guerra nel Mali del Nord, dalla insurrezione di MNLA al caos di Bamako, alla distruzione dei monumenti di Timbuctu, alle bombe francesi.

Mali, Giulio Terzi va alla guerra mentre al Qaeda attacca l’Algeria

Con l’assalto alla piattaforma petrolifera della BP in territorio algerino, al Qaeda nel Maghreb Islamico (o almeno una sua cellula guidata da Mokhtar alias Belmokhtar Khalid Abu Abbas), estende la guerra del Mali del Nord in un altro paese e coinvolge direttamente l’Europa e gli USA. L’attacco è stato rivendicato come una ritorsione da parte di AQMI contro la decisione di Algeri di permettere il sorvolo del proprio spazio aereo ai caccia francesi, impegnati a contrastare l’avanzata verso sud di Ansar el Dine, la cellula jihadista guidata dal tuareg Iyad Ag Ghali, signore della guerra del deserto. L’assalto ha causato due morti e dieci feriti, mentre sarebbero quarantuno i cittadini stranieri tenuti in ostaggio: si tratta di sette americani, due francesi, alcuni britannici e giapponesi. L’impianto della BP è ora circondato dall’esercito algerino. Di fatto, al Qaeda ha aperto il conflitto al resto dei paesi occidentali, finora riluttanti a seguire la Francia sulla via di Bamako. Così infatti si è espressa Angela Merkel, forse un preludio a un imminente coinvolgimento della Germania:

Mentre il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MNLA) – ad inizio del conflitto nel Marzo 2012, al fianco dei ribelli jihadisti, poi scacciato dalle città di Gao e Kidal poiché contrario alla imposizione della sharia – è scomparso dallo scenario del conflitto e non pare sufficientemente organizzato per poter contenere questa variegata congrega di terroristi (sono almeno tre le sigle dei qaedisti, oltre a AQMI e Ansar el Dine, è presente un gruppo più piccolo chiamato Mujao, il Movimento per l’Unicità e la jihad, responsabile del rapimento di Rossella Urru), le truppe di terra francesi hanno problemi a liberare la città di Konna dagli uomini di Iyad Ag Ghali. La foto seguente è stata scattata lunedì scorso ed è stata inviata dai militanti di Ansar el Dine al quotidiano online http://www.saharamedias.net che l’ha pubblicata oggi:

konna_ansar_dineAnsar el Dine ha così voluto smentire le autorità francesi che avevano riferito di aver permesso all’esercito maliano la presa di Konna per tramite dell’azione dei caccia bombardieri. Invece i combattenti del gruppo sono di stanza alle porte della città e ciò sarebbe testimoniato anche da un video (www.saharamedias.net). Abu Habib Sidi Mohamed, questo il nome dell’uomo che compare nel video, ha esortato i francesi a pubblicare foto o video della loro presenza a Konna. I francesi avrebbero solo distrutto una moschea e ucciso sette persone, ma solo con i bombardamenti. E’ questa la loro unica traccia lasciata a Konna: i carri armati distrutti da Ansar el Dine sono mezzi dell’esercito di Bamako e sono il segno della loro disfatta.

I gruppi jihadisti non sono più di millecinquecento combattenti, dotati di armamenti pesanti ma alloggiati su pick-up per mezzo dei quali attraversano velocemente il deserto. L’esercito maliano è fortemente disorganizzato, male equipaggiato e male addestrato, diviso in fazioni, soprattutto infedele (due sono i colpi di stato manu militari susseguitesi dal Marzo 2012). Come detto, MNLA è troppo debole in termini di organici e di armamenti per poter combattere. Sono stati proprio i tuareg laici a lanciare l’azione militare per la secessione del nord del Mali e la creazione di uno stato indipendente (Azawad). Si è suggerito da più parti come MNLA avesse ricevuto l’appoggio implicito da parte dell’ex presidente francese Sarkozy e, di conseguenza, dell’emiro del Qatar. Anche la Svizzera avrebbe fornito assistenza di natura finanziaria ai tuareg: “Il Dipartimento federale degli affari esteri della Svizzera ha partecipato all’organizzazione e al finanziamento di una riunione politica dei tuareg ribelli indipendentisti del MNLA, il 25, 26 e 27 luglio 2012 a Ouagadougou.” Proprio Sarkozy disse lo scorso anno, alcuni giorni dopo la dichiarazione di indipendenza dell’Azawad ad opera del MNLA, di voler “cooperare con i tuareg” (Aurora, bollettino internazionalista). Ma l’elezione di Francois Hollande sembra aver contribuito a cambiare le sorti del conflitto maliano: MNLA ha perso forza ed è entrato in contrasto con Ansar el Dine al cui cospetto ha mostrato tutta la propria inadeguatezza a governare una macroregione come il Sahel. La predominanza di Iyad Ag Ghali e dell’impronta jihadista è divenuta evidente quando furono raggiunti accordi con strani emissari del MNLA sulla spartizione della regione, poi smentiti dai tuareg laici qualche giorno dopo. La creazione di uno stato indipendente nel Sahel per Sarkozy era da intendersi in senso anti algerino e al fine di ottenere la supremazia nell’area nello sfruttamento delle risorse minerarie e petrolifere del Niger. MNLA avrebbe poi dovuto sbarazzarsi di AQMI e Ansar el Dine. La strategia francese era quella di circondare l’Algeria e di fatto costringerla a rientrare nella propria influenza commerciale, come prima dell’Indipendeza del 1962. Ora è Algeri a doversi difendere da al Qaeda.

Anche il nostro paese è curiosamente coinvolto nelle vicende maliane. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha affermato oggi che l’Italia è pronta a fornire supporto logistico al governo di Bamako, il che è traducibile con addestramento e forniture di armi. Lo ha fatto senza un mandato politico del Parlamento, sciolto dal presidente Napolitano a Dicembre e quindi in ordinaria amministrazione in attesa delle elezioni. Lo ha fatto nella veste di ministro di un governo dimissionario. Il silenzio che ne è seguito è sufficiente a dire che qualcuno ha interesse a mandare militari e mezzi italiani nel paese africano?

Il 2012 in dodici tremendi post

2012-roadblock

Le dimissioni di Mario Monti e il decreto di scioglimento delle Camere – che presumibilmente verrà emesso dal Presidente della Repubblica domenica prossima – sono gli atti che chiudono questo tremendissimo 2012, il primo anno post berlusconismo (e antiberlusconismo). Ma la Nuova Era per la politica italiana si è aperta non certo nel migliore dei modi. Già ad inizio Gennaio era parso a molti che il ricorso alle urne era l’ultima delle carte che “la Casta” si sarebbe giocata in questo frangente. Il referendum sul Porcellum si rivelò una chimera poiché fu prevedibilmente bocciato dalla Consulta:

Referendum Legge Elettorale, i dubbi sull’ammissibilità

gennaio 5, 2012 di 

Le urne non erano l’unico fantasma che agitava i sonni dei deputati e dei senatori italiani. In Europa infuriava la crisi del debito e mentre lo spread Btp-Bund tendeva a scendere restando però  una pistola puntata alla tempia, la Trojka Commissione-BCE-FMI sottoponeva la Grecia ad un esperimento di economia politica che la poneva sul crinale di una rivolta sociale:

Grecia, sangue in piazza Syntagma

febbraio 12, 2012 di 

Il Mediterraneo è rimasto per tutto il 2012 un mare “caldo”. Dalla Grecia distrutta, ai problemi della Spagna, il movimentismo si manifestava in forme civili (in Spagna soprattutto, organizzandosi mediante i social network e chiamando a raccolta con gli hashtag #25s e simili). Il sud del Mare Nostrum invece continuava a vivere guerre e rivoluzioni sulla scia della Primavera Araba del 2011. La Siria è ancor ora in fiamme; l’Egitto si rivolta con il neo presidente eletto Morsi. Il Sahel è diventata una polveriera jihadista: la guerra dei Tuareg contro il governo del Mali veniva presto condizionata da gruppi armati afferenti ad Al Qaeda, gli stessi gruppi che tenevano imprigionata Rossella Urru, cooperante italiana. Quando a Marzo alcune testate giornalistiche africane titolavano della sua liberazione, la stampa italiana sul web andava in corto circuito fra fact checking falliti e entusiasmi irresponsabili. La liberazione andò in fumo e Rossella visse altri tre mesi di prigionia, mentre il Mali esplode.

Rossella Urru, ucciso un intermediario. E nel nord del Mali infuria la guerra dei Tuareg

marzo 12, 2012 di 

In italia non avvengono rivolte, ma la classe politica per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi venti anni ha dato avvio ad un processo di autodistruzione che pochi si sarebbero aspettati. L’apice di questa decomposizione si registrò ad Aprile, quando gli scandali fanno crollare l’antico architrave dell’alleanza politica di centrodestra: la Lega Nord. Che viene coinvolta nei suoi personaggi chiave: Renzo Bossi detto il Trota, suo padre Umberto Bossi, e soprattutto l’odiatissimo Cerchio Magico presieduto dalla melliflua Rosy Mauro:

Rosy Mauro e il Sindacato Padano che non era un sindacato

aprile 10, 2012 di 

Il cambiamento degli scenari politici sembrava esser minato da una parte dal prestigio dei Tecnici, da Mario Monti in testa, forte del suo prestigio internazionale. Dall’altra parte i partiti temevano l’arrembante pattuglia degli sconosciuti del Movimento 5 Stelle. I signori Qualunque, alle elezioni amministrative di Maggio, vincono alcuni piccoli comuni e ne diventano sindaci, ma soprattutto stravincono a Parma, città emblema degli scandali e del default politico e non del PdL:

La Comune di Parma

maggio 21, 2012 di 

Il governo Monti ha avuto certamente una influenza sulle dinamiche europee. A metà Giugno pareva che i tecnocrati di Bruxelles e i falchi berlinesi fossero in grado di estendere l’egemonia del metodo Buba (Bundesbank) e del rigorismo finanziario attraverso l’approvazione del Trattato MES, alias il Meccanismo europeo di stabilità, un complesso di norme che avrebbero imprigionato il nostro paese dentro rigidissime regole di bilancio. L’azione mediatrice di Monti e di Mario Draghi ha permesso di smontare alcuni aspetti controversi del trattato, e il meccanismo automatico si è trasformato poco a poco in una scelta opzionale da parte degli Stati Membri:

Il Trattato MES è antidemocratico ma non è un complotto degli Illuminati

giugno 17, 2012 di 

L’Europa non è solo tecnocrazia bancaria. Non è solo Germania e Merkel e Mario Draghi e Barroso. Fortunatamente il Parlamento Europeo, che pur eleggiamo direttamente, ha per la prima volta nella storia fatto pesare il proprio parere contro la Commissione in materia di politica commerciale, cassando il blindatissimo e antilibertario Accordo anti contraffazione. E sempre per la prima volta, un movimento d’opinione che ha attraversato l’Europa (e che ha visto l’Italia ai margini) quasi esclusivamente per i canali dei social network, ha potuto incidere su una decisione comunitaria.

Il Parlamento Europeo cancella #ACTA

luglio 4, 2012 di 

Ad Agosto la cronaca italiana deve fare i conti con una sentenza su un delitto rimasto insoluto, quello del giornalista de L’Ora, Mauro De Mauro. Un delitto che tiene insieme i misteri d’Italia, dalla morte di Mattei a quella di Pasolini, passando per libri misteriosi cancellati e politici democristiani e comunisti della Sicilia degli anni Cinquanta e Sessanta. Un filo rosso che giunge sino ai giorni nostri, laddove ci si finge sgomenti alla scoperta dei traffici dell’ENI quando invece l’ENI è da quarant’anni un serbatoio di denari e di corruttela.

De Mauro, l’ENI e la morte di Mattei nel profondo gorgo della Sicilia

agosto 11, 2012 di 

Se la decomposizione del centrodestra è avvenuta in maniera caotica e per mano di inchieste giudiziarie, in special modo sull’uso dei rimborsi dei gruppi consiliari nelle regioni Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna, il centrosinistra ha avviato a inizio Settembre la stagione delle primarie (che si deve concludere ancor ora, con le primarie parlamentari, il 29 o il 30 Dicembre). Quella che Bersani prefigurava come una investitura senza problemi si trasforma in una guerra balcanica appena dopo l’annuncio di Matteo Renzi di correre per la candidatura a premier. Alla fine, il segretario capitalizzerà questa scelta con un bagaglio di voti insperato, che nei sondaggi ha fatto balzare il PD al 33%-36%. La sfida (e gli errori) dell’avversario è stata per lui un trampolino di lancio che l’ha riconciliato con mezzo partito.

La balcanizzazione delle primarie

settembre 17, 2012 di 

Ma gli elementi di democrazia diretta che il PD giocoforza ha dovuto introdurre nel suo meccanismo di selezione di leadership (fondamentale è stata la deroga allo Statuto del PD nella parte in cui ascrive al segretario la candidatura a premier) non sono un discriminante decisivo. Il movimento 5 Stelle, nato sulla promessa di una partecipazione dal basso per mezzo di strumenti di democrazia diretta via web, sfiora il 20% nei sondaggi e diventa in Sicilia il primo partito. Ma la montagna di voti mette le vertigini anche a Grillo, il quale inizia a metter fuori dalla porta tutti coloro che osano criticare il metodo. Fra confuse idee di parlamentarie a numero chiuso e ipotesi di mandato imperativo (non costituzionali!), il Movimento si avvita su sé stesso e di fatto dà l’avvio ad una fase di controllo verticistico in aperto contrasto con gli ideali delle origini.

M5S / Dimissioni in bianco e divieto di Mandato Imperativo

ottobre 28, 2012 di 

Mentre la maggiore tassazione mette il freno all’economia, mentre la crisi morde altri posti di lavoro, mentre l’Ilva di Taranto è soggiogata dal trade-off fra legalità e rispetto della salute umana e dell’ambiente e lavoro per gli operai, il governo stringe accordi con le parti sociali per quanto concerne la contrattazione secondaria di livello aziendale. La sola CGIL non firma. L’accordo rimane per ora un pezzo di carta, una traccia che il prossimo governo si ritroverà nei cassetti come sorta di “agenda”, un’agenda questa non voluta dall’Europa ma scritta di proprio pugno dalla tecnocrazia montiana, oramai sempre meno tecnica e sempre più politica.

Produttività, i punti cruciali dell’accordo Governo-Parti sociali

novembre 21, 2012 di 

La sedicesima legislatura sta per finire. Il peggior parlamento della storia repubblicana non riesce a votare una legge che permetta di non replicare la sua stessa mediocrità. Nel 2013 si voterà ancora con il Porcellum. Che novità. Il 2012 si era aperto con questa consapevolezza, che non è mai sembrata in dubbio. E l’Improponibile, l’uomo che rovinato il paese e che costituisce “una minaccia per l’Europa” (Martin Schulz), vale a dire Berlusconi, dapprima afferma di volersi ricandidare, mandando a soqquadro le primarie del centrodestra,  sbertucciando il suo segretario, Angelino Alfano, mandato allo sbaraglio in parlamento ad annunciare la sfiducia a Monti, sfiducia che non c’è mai stata; poi investe lo stesso Mario Monti della responsabilità di “federare” il centrodestra, senza peraltro ottenere alcuna risposta. Infine, cerca di rallentare la fine della legislatura, onde evitare la tagliola della par condicio televisiva che gli impedirebbe di passare ore fra Canale 5, Raiuno, Rete 4, Radiouno eccetera, a blaterare di soluzioni alla crisi economica che non stanno né in cielo né in terra. Lui, il Cavaliere, si presenterà alle urne ma ciò che lo aspetta, a meno di improvvise amnesie collettive, sarà una sconfitta memorabile.

 

Il suicidio del Samurai (ma #giorgiopensacitu)

 

dicembre 6, 2012 di 

 

 

 

 

 

 

Mali: Francia, USA e Regno Unito preparano la guerra contro Al Qaeda

Sarà una nuova guerra contro il Terrore qaedista, almeno nella retorica giornalistica occidentale. La Francia si è messa alla guida della diplomazia occidentale e sta preparando una bozza di risoluzione da sottoporre al Consiglio di Sicurezza dell’Onu entro il 15 di Ottobre. Ma Parigi si sta organizzando in proprio ed ha già disposto forze speciali nel nord del paese oltre ad aver pre-allertato le proprie basi presenti in Burkina Faso e Costa d’Avorio. Indiscrezioni della stampa locale, maliana e mauritana, rivelano che almeno due elicotteri francesi sarebbero atterrati a Ouagadougou, capitale burkinabè.

Johnny Carson, capo della divisione Africa del Dipartimento di Stato USA, ha detto che gli Stati Uniti sono disponibili a sostenere un intervento militare nel nord del Mali purché “ben preparato” e condotto sotto l’egida delle Nazioni Unite dall’esercito del Mali con il sostegno di tutti i paesi della regione, compresi la Mauritania e l’Algeria. Nella proposta di Carson, l’ECOWAS deve avere ruolo fondamentale di raccordo e coordinamento. Non è chiaro se gli USA intendano partecipare all’intervento mediante il dispiegamento di forze di terra o di aria. Il capo del governo provvisorio di Bamako, Diarra, ha chiesto sabato ai paesi occidentali di intervenire al più presto nel Sahel mandando forze armate e aerei. Francia e Germania hanno risposto affermativamente, ma la Francia ha precisato ipocritamente che non manderà truppe di terra quando invece, secondo Le Figaro, ha già provveduto a dispiegare truppe speciali nel nord del paese. Una delle possibili ragioni della presenza di queste unità d’avanguardia potrebbe essere legata all’aggravarsi della situazione degli ostaggi francesi in mano ad AQMI. E’ stato inviato nuovamente un messaggio registrato alla testata online Sahara Media, un video in cui i quattro ostaggi pregano il presidente francese Hollande di fare quanto richiesto dai rapitori per ottenere la loro liberazione.

Ma la Francia non è interessata al Mali per la sola questione dei rapimenti. In ballo c’è l’egemonia francese dell’area e il contrasto all‘influenza economica cinese mediante una strategia di occupazione che collide con il Beijing Consensus (per approfondire si legga A. Gallia, 2010, citato nel link precedente; di fatto il Beijing consensus tende a promuovere l’integrità sovrana degli stati africani laddove il Washington consensus tende a sostituirla).

la Francia, già da tempo, sta pianificando l’intervento armato nel nord per rafforzare la propria supremazia nell’Africa sub-sahariana. La concorrenza, in quella zona, è infatti molto alta. Parigi, come del resto Washington, sta cercando di arrestare l’espansione economica della Cina in Africa. La guerra in Costa d’Avorio e in Libia rientra in questo contesto. In un’intervista a Jeune Afrique, il ministro dell’Economia e della Finanza, Pierre Moscovici, ha detto ieri che “la Francia non ha paura di Pechino” (Rinascita).

Le terre rare sono l’elemento nascosto di questo nuovo conflitto. Tanto che il presidente di un paese come l’Australia ha inviato una delegazione in Mauritania per discutere di interessi comuni quali “l’agricoltura e il settore minerario“. Durante l’incontro, l’inviato speciale Lowell Williams ha speso alcune parole su un possibile intervento militare in Mali. Su Saharasmedia.net è comparsa, a corredo di questo commento, una infografica che spiega grosso modo come si procederà con l’intervento militare:

Il confronto avverrà presumibilmente a sud, mentre verso nord agiranno le unità speciali e i cacciabombardieri francesi. Il governo di Bamako ha intanto assegnato al generale golpista Amadou Haya Sanogo la presidenza della commissione di riforma dell’esercito maliano. Il Comitato ha in particolare il compito di “partecipare alla supervisione delle operazioni militari e di contribuire allo sviluppo di un piano di formazione della difesa e delle forze di sicurezza in un’ottica di rafforzamento della capacità operativa” dell’esercito. La notizia ha dell’incredibile, se si pensa che Sanogo è stato per molti mesi capo provvisorio del governo di Bamako, dopo aver organizzato il golpe militare dello scorso 22 Marzo, e fonte di instabilità politica.

 

Islam, chi soffia sul fuoco

Pastore Terry Jones

Non cercateli lontano: sono in mezzo a noi. Soprattutto fra quelli che si professano paladini della libertà. Terry Jones, il pastore ultracattolico che avrebbe promosso il film della discordia, Innocence Muslim (cfr. The Atlantic), altro non è che un fanatico che annualmente si diverte a bruciare copie del Corano o fotografie di Obama. Jones è antiabortista, probabilmente razzista. Il suo forte credo religioso ha i chiari connotati del credo integralista. I suoi deliranti discorsi andrebbero inascoltati anche in un ospedale psichiatrico. Come è possibile che un personaggio così periferico e palesemente deviato possa accendere la miccia di una rivolta globale? Il regista del film sarebbe un cristiano coopto, tale Nakoula Basseley Nakoula, un emerito signor nessuno, il cui talento nel cinema fa a gara con quello di un paracarro. Il suo capolavoro sarebbe costato qualche milione di dollari. Una tal cifra e così mal spesa. Forse esiste un altro livello di lettura di questo caos di ambasciate date alle fiamme e di ambasciatori in fuga. Forse la spiegazione non è così scontata.

Sto parlando dell’America 2012. Delle presidenziali. E di un candidato repubblicano che è pienamente pro-life e dichiaratamente cattolico. Romney nei sondaggi duella testa a testa con Obama ma non è affatto chiaro se egli abbia o meno la possibilità di vincere le elezioni di Novembre. Cosa succederebbe se dovesse sconfiggere Obama? Quale sorte per i rapporti degli USA con i paesi arabi? I democratici subodorano una sconfitta alla Jimmy Carter. Conoscono bene l’umore dell’elettorato americano, così sensibile in materia di sicurezza nazionale. L’attacco libico è avvenuto proprio in pieno 11 Settembre (negli USA era giorno, quindi il fatto ha subito avuto massima rilevanza mediatica) e la ragione della violenza è stata volutamente collegata al trailer del film di Nakoula. Un trailer che all’improvviso, proprio qualche giorno fa, è stato pubblicato su un sito cristiano-coopto. Nessuno prima d’ora ha mai sentito parlare di Naokula. Ed è diventato virale in poche ore facendo così esplodere la rabbia di centinaia di migliaia di persone comuni, non terroristi, spinti dall’offesa a distruggere e a spaccare tutto quanto di occidentale trovano per le strade.

Il meccanismo è chiaro: l’attacco in Libia è stato pianificato. Si è trattato di un puro attentato in stile Al Qaeda. Poi qualcuno ha usato i media – soprattutto i nuovi media – per sollevare la rivolta. Immediatamente l’operazione di Washington (muovere navi da guerra verso la Libia) è subito sembrata in patria troppo debole. Al punto tale da permettere a Romney e a tutto il suo entourage di calcare la mano sulla presunta debolezza di Obama. Un presidente che solo l’altro ieri si è dovuto vantare, durante un comizio, di essere il presidente che “ha ucciso Osama Bin Laden”. Non catturato e/o processato. Ma “ucciso”. Non so se è comprensibile la differenza.

Con ciò si vuol dire che gli estremisti che hanno suggerito la rivolta sono in primis americani. Sul sito dell’associazione American Center for Law & Justice, un gruppo conservatore, pro-life, cristiano fondamentalista, fondato nel 1990 dal pastore evangelico Pat Robertson, è comparso un articolo dall’incipit ben chiaro: “Abbiamo imparato ancora una volta che in Medio Oriente, la debolezza uccide. Non vi è nessun tipo di tolleranza, comprensione, o simpatia che possa placare un radicale musulmano, e i radicali considerano effettivamente la tolleranza come un invito a colpire” (La realtà del 12 Settembre, ACLJ). Pat Robertson è un volto televisivo. I suoi sermoni vengono trasmessi dalla tv Christian Broadcasting Network (CBN). E’ politicamente schierato con l’ultra destra cristiana evangelica. Ha cercato di ottenere la candidatura repubblicana alle presidenziali del 1988, fatto che lo accomuna a Jones, il quale addirittura si è autoproclamato “candidato alla presidenza” alle prossime elezioni senza aver ottenuto la nomination da alcun partito.

Finché si agirà in maniera tutt’altro che straordinaria e decisiva, non possiamo che aspettarci che la situazione divenga sempre più pericolosa. Il governo egiziano deve ancora chiedere scusa. Ma perché dovrebbe chiedere scusa se invece può continuare a dotare il suo esercito contando sui nostri soldi, mentre perdona e rafforza la sua base radicale? (A tal proposito, penso che dovremmo smettere di usare il termine “radicale” per descrivere una cosa che invece è la mentalità della  maggioranza delle persone in Medio Oriente. Nei paesi arabi e in Iran, la jihad è mainstream). E ora i Fratelli Musulmani chiedono che le proteste aumentino – proprio nel momento in cui i manifestanti dovrebbero essere radunati, imprigionati, raddoppiando la sicurezza intorno alla nostra ambasciata. Come minimo, dobbiamo tagliare tutti gli aiuti all’Egitto a meno non tornino ad essere come una volta un “alleato” sia con la parola e con le opere (ACLJ, cit.).

Questo paragrafo anticipa la politica estera di Romney: abbandono dei paesi arabi che si sono emancipati con le rivolte del 2011 a meno che non reprimano le componenti islamiste, siano esse dedite al terrorismo o meno. Siamo distanti anni luce dalla “politica della mano tesa” di Obama, esemplificata dal discorso alla università de Il Cairo del 2009.

Sceicco al-Thani

Nel Mali del Nord l’ombra dello Sceicco del Qatar. Scontri fra Tuareg e Islamici

Sceicco al-Thani

Sceicco al-Thani

MNLA e Ansar Dine si sarebbero completamente separati. E’ quanto ha detto il Segretario della Conferenza Episcopale del Mali, don Edmond Dembele, all’Agenzia Fides. Al Arabiya ha riportato notizia di scontri fra i due gruppi: “la scorsa notte uomini armati dei due schieramenti si sono affrontati alla periferia di Kidal” (Corriere del Ticino via Afp). La situazione è degenerata dopo il fallimento delle trattative per trovare un accordo sul destino dell’Azawad, il presunto stato indipendente dei Tuareg. Iyad Ag Ghaly è sempre stato contrario alla indipendenza dell’Azawad. E’ contrario ai suoi interessi avere uno stato laico nel centro del Sahel. Per i traffici di armi e schiavi è meglio il debole governo di Bamako, che non è strutturato per controllare un’area tanto vasta quanto inospitale. In questo senso è da spiegarsi la nascita in Mauritania di un soggetto politico-militare che vuole riagganciare il Sahel al sud del paese:

“Si ricordi che in Mauritania gli arabi del nord del Mali hanno appena fondato un nuovo gruppo con lo scopo di cacciare i ribelli da Tomboctou e riattaccarla al resto del Paese” dice don Dembele (Agenzia Fides).

Ecowas ha chiesto ufficialmente all’ONU di poter inviare un contingente militare nel nord del Mali per combattere gli indipendentisti. Lo scopo è ristabilire l’ordine preesistente alla rivolta del MNLA. Ma il voto in Coniglio di Sicurezza è tutt’altro che scontato. MNLA ha un forte legame con Parigi, soprattutto con gli intellettuali radicali che intendono esportare la democrazia “suggerendo” l’insurrezione. L’interessamento di Parigi alla sorte dei Tuareg sarebbe confermato anche dalla notizia riportata dal il giornale francese “Le Canard enchaîné che, in un articolo dal titolo Il nostro amico del Qatar finanzia gli islamisti del Mali scrive come l’emirato stia finanziando da tempo i gruppi attivi nel nord del paese, dai combattenti islamici di Ansar al-Din al Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad” (AltreNews.com). Lo Sceicco del Qatar, Cheikh Ahmad ben Khalifa al-Thani, il fondatore di Al-Jazeera, avrebbe fornito il proprio aiuto finanziario e logistico anche al gruppo terroristico al Qaeda nel Maghreb islamic (AQMI, fra le cui fila troviamo quelli del Mujao, i rapitori di Rossella Urru). L’Eliseo – quindi Sarkozy – era al corrente di tutto ciò. Forse era anche d’accordo. Ora la presidenza francese è cambiata e anche il clima nell’area è diverso. E’ probabile che Parigi abbia appoggiato l’azione dello Sceicco del Qatar. La sua longa manus sarebbe dietro alla Primavera Araba, in Tunisia, Egitto, Libia, (dove però l’intervento francese è stato ben più determinante), Siria. In Qatar si celavano i rivoltosi di Bengasi con la loro emittente televisiva e le loro armi provenivano proprio dall’emirato. Al-Jazeera è stato il medium dominante nel racconto della Rivoluzione dei Gelsomini in Tunisia, e nella documentazione degli eventi di piazza Tahir.

Lo Sceicco ben Khalifa al-Thani è grande amico di Sarkozy. Il Qatar è un grande alleato della Francia. La Francia sapeva, anzi ha orientato le decisioni di al-Thani. La presidenza francese oggi è cambiata. Ma non la politica estera. al-Thani potrebbe aver ricevuto da Hollande la richiesta di rompere con le formazioni jihadiste in Mali (Ansar Dine in primis). Detto fatto: dal trovare un accordo, MNLA e Ansar Dine sono giunti a spararsi. Quando inizialmente veniva dato per imminente l’intervento militare francese sulla Timbuctu invasa dagli jihadisti, nessuno poteva immaginare che l’indipendenza dell’Azawad facesse parte di un quadro politico più ampio. Resta da spiegare il perché di questo rinnovato interesse francese per l’Africa e per il medioriente.

Rossella Urru, chi è Mujao che l’ha rapita

Hanno chiesto un riscatto di 30 milioni per liberare Rossella Urru e Ainhoa Fernández, rapite in Algeria diversi mesi or sono. Si chiamano Mujao, Movimento per l’unicità e la jihad in Africa Occidentale (Tawhid Wal Jihad fi Jamat Garbi) e una certa vulgata giornalistica li definisce come dissidenti di Al Qaeda. In realtà si tratta di un gruppo estremista che è legato a AQMI, Al Qaeda nel Maghreb Islamico; hanno partecipato alla recente presa della città di Gao, durante l’insurrezione Tuareg.

Hanno un portavoce che si chiama Adnan Abu Walid Sahraoui. E’ lui ad esser stato contattato dalla agenzie France Presse (AFP) per il rilascio di queste dichiarazioni. In realtà Mujao cerca di far pervenire la propria voce già da un mese a questa parte. Lo scorso 9 Aprile arrivò una richiesta simile, ma ora Mujao può muoversi con maggior destrezza nel ricatto, avendo catturato il console algerino a Gao. Pensano anche di realizzare attacchi contro l’Algeria, come a Tamanrasset, un colpo eseguito da due giovani. I negoziati con Algeri sono falliti la settimana scorsa. Mujao chiedeva 15 milioni e i rappresentanti del governo hanno risposto con il rifiuto.

Le autorità algerine contano sull’appoggio di Iyad Ag Ghaly, il leader di Ansar Edine, altra formazione salafita jihadista che opera però in Timbuctu. “Abbiamo un accordo con i nostri fratelli in Ansar Edine”, aveva detto un membro del Mujao solo qualche giorno fa, quando si parlava della liberazione degli ostaggi algerini. Ciò conferma che il gruppo ribelle islamico Ansar Edine ha assunto in sé la questione della liberazione dei diplomatici algerini. In Bamako, una fonte della sicurezza del Mali ha confermato l’esistenza di trattative tra il gruppo di Iyad Ag Ghaly e Mujao. Iyad Ag Ghaly è considerato un moderato. E’ un uomo di guerra, ma con lui si può trattare, si può fare la pace.

Intanto la Mauritania chiude la frontiera con il Mali secessionista, l’Azawad. Lo spettro di una crisi umanitaria si fa sempre più pesante.

Timbuctu divisa fra Qaedisti e Tuareg aspetta le bombe francesi

Così la caduta di Timbuctu nelle mani dei ribelli Tuareg ha determinato una fuga dalla città. L’esercito ufficiale maliano è in rotta, ha lasciato l’area senza combattere, appena qualche sparo, qualche elicottero in volo, nulla di più. Il golpe militare che ha agitato la capitale Bamako la scorsa settimana non ha inciso in alcun modo nel confronto bellico con i Tuareg del MNLA. Bamako è in preda ad uno stato confusionale. Reclama aiuto internazionale, ma nessun paese risponde.

Così la città è stata divisa. Il centro è occupato dal gruppo salafista di Ansar Edine. Voci parlano anche di membri del AQMI, Al Qaeda del Maghreb Islamico, i rapitori di Rossella Urru, insediatesi in alcuni quartieri della città. La parte esterna sarebbe controllata dai Tuareg. Oggi dovrebbe verificarsi l’incontro fra Mohamed Ag, Capo di Stato Maggiore nel Movimento Nazionale per la Liberazione della Azawad,e Iyad Ghali, il leader di Ansar Edine. Dovrebbero discutere delle modalità con cui dichiarare l’indipendenza dell’Azawad dal Mali.

Timbuctu si estende in forma di ferro di cavallo; è adiacente al fiume Niger e piega verso nord, nel Sahara. I suoi centri vitali sono distribuiti tra la regione meridionale e il centro della città, i quartieri con alta densità di popolazione si concentrano nel nord della città. Il MNLA è di stanza nella regione meridionale della città, oltre che nei valichi Cabara, e controlla il fiume, l’aeroporto e la zona che porta verso Bamako. Ansar Edine occupa come detto la zona centrale della città, e quindi i suoi punti vitali. La città aspetta ma è chiaro che i due gruppi si scrutano e si osservano. Non è escluso che, se l’incontro di oggi avrà un esito negativo, inizino a bombardarsi a vicenda.

E la Francia che fa? Può permettere che il Mali, sua ex colonia, venga diviso e spartito fra Tuareg e gruppi assimilabili ad Al Qaeda? Chi vive a Timbuctu pensa di no e si aspetta le bombe di Sarkozy (o di Hollande?). Il MNLA nega qualunque correlazione con Ansar Edine. Lo fa con un comunicato sul proprio sito nel quale stigmatizza gli organi di informazione del Mali e internazionale, in particolar modo France Presse, colpevole di essere l’autrice di un’opera di disinformazione globale volta a rappresentare il MNLA come un movimento di ex mercenari di Gheddafi e ora di fondamentalisti qaedisti.

Dei rapiti italiani e spagnoli nessuna notizia.

 

Il Mali cede sotto i colpi dei Tuareg

Dopo Kidali è caduta Gao, oggi Timbuctu. L’esercito maliano è in disfatta. Secondo Sahara Media il colonnello Elhadj Ag Gamou si è unito ai combattenti Tuareg. Due giorni fa il capo della autoproclamatasi Giunta Militare del Mali, Amadou Sanogo, ha lanciato un appello per un aiuto militare straniero. Viene scritto, anche sui giornali italiani – come La Repubblica – che i ribelli Tuareg si sono alleati con la cellula di Al Qaeda nel Sahel, AQMI. In realtà si tratterebbe di un gruppo minore, islamista, chiamato Ansar Edine, una formazione politico militare che vorrebbe applicare la Sharia nel nuovo stato dell’Azawad. Ma l’Azawad è la terra dei Tuareg e i Tuareg sono nomadi, seppur islamizzati, e mantengono una identità culturale ben definita.

Dire che i Tuareg si sono alleati con Al Qaeda non è completamente corretto. Il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MNLA) si è formato all’inizio dell’Ottobre 2011. L’impulso per questa nuova guerra dei Tuareg (l’ultima è terminata nel 2009) è venuto alla fine del regime di Gheddafi in Libia. Tuareg di diverse tribù hanno combattuto sia per il Raìs che contro. Il comandante militare dell’MNLA, Mohammed Ag Najm è stato certamente un ufficiale libico di origini maliane ed ha servito durante il regime di Gheddafi ma si è espressamente dichiarato in disaccordo con il regime fin dall’inizio dell’insurrezione di Bengasi. Ma non si tratta di mercenari. Essi sono ex ufficiali libici di etnia Tuareg. Combattono ora per il loro vero paese.

Ansar Edine è un gruppo salafista Tuareg. Certo è difficile distinguere. La presa della città di Kidal è un punto di non ritorno. Dopo sono cadute Gao – in seguito a una sanguinosa battaglia in cui l’esercito maliano ha dispiegato persino degli elicotteri, senza evidentemente ottenere l’effetto di fermare l’avanzata dei ribelli berberi – e Timbuctu. Il nord del Mali è fuori del controllo del governo di Bamako e potrebbe suggerire alla cellula di Al Qaeda in Algeria, AQMI, responsabile dei rapimenti di Rossella Urru e dei due cooperanti spagnoli, di iniziare attività terroristiche o di guerriglia in territorio algerino. Aveva ragione Giulio Sapelli sul Corriere: la caduta di Gheddafi ha spezzato l’equilibrio dell’area, importantissima per la produzione di petrolio ma anche per il traffico della droga e degli immigrati verso l’Europa. L’Azawad potrebbe nascere come narcostato, come Stato Canaglia, un nuovo Afghanistan, palestra del terrore qaedista. O forse no. Forse ci stiamo ingannando. forse siamo vittime della propaganda del governo diBamako, che già otteneva i soldi e le armi dalla Comunità Internazionale per combattere il Terrore di AQMI, soldi che invece hanno ingrassato le tasche dell’ex presidente ATT, Amadou Toumani Touré, deposto dai militari.

Cosa succederà se la guerra coinvolgerà l’Algeria? Cosa farà la Francia, da sempre dominus dell’area? Le elezioni presidenziali in Francia saranno discrimine per un intervento militare straniero, come è successo per la Libia, questa volta però in chiave conservativa, anti-ribelli? Oppure anche Francoise Hollande vede nell’Azawad una minaccia agli interessi francesi?

Il Golpe in Mali complica le trattative per liberare Rossella Urru

E’ in corso in Mali, nella capitale Bamako, un tentativo di colpo di Stato da parte di una sezione ribelle dell’esercito. Stando alla ricostruzione riportata su Il Fatto Q, la “scintilla è scoppiata nel campo militare di Kati, a una quindicina di chilometri dalla capitale, durante la visita del ministro della Difesa, Sadio Gassama”. Alcune decine di militari si sono rivoltati contro di lui, lanciandogli pietre. Gassama è quindi fuggito. Se il suo intento era quello di placare gli animi e rassicurare sull’impegno del governo di Bamako nella repressione della rivolta Tuareg nel nord del paese, possiamo dire che ha in realtà innescato una vera e propria insurrezione armata. Da Kati, i militari golpisti si sono diretti nella capitale e hanno assaltato la tv pubblica e in un secondo momento anche il palazzo presidenziale. Motivo della rivolta sono le condizioni con cui i militari sono costretti a combattere. I ribelli Tuareg del Fronte di liberazione nazionale dell’Azawad hanno “ereditato” molti degli armamenti e degli ufficiali delle ex truppe fedeli a Gheddafi, dissoltesi con la cattura del Rais. L’Azawad intende separarsi dal governo di Bamako per riunificare i popoli del Sahel, la regione intermedia tra il Sahara e l’Africa nera, a sud del Maghreb. Nella zona è operativa la cellula di Al Qaeda AQMI, responsabile del rapimento di Rossella Urru e dei suoi due colleghi cooperanti spagnoli. Molto probabilmente i tre rapiti sono tenuti nascosti in una città del nord del Mali, al confine con l’Algeria. Nelle scorse settimane era emerso che la trattativa per la liberazione di Rossella passava attraverso alcuni mediatori maliani, fra cui l’attuale presidente del Mali, Amadou Toumani Touré e uno sceicco, tale Bahla Ag Nouh. Ebbene, il primo sta per essere defenestrato; il secondo è stato ucciso lo scorso undici Marzo, tra le città di Onafis e Taodney, nel centro del paese. L’impressione è che da questo momento in poi, se il golpe dei militari dovesse concludersi con il ribaltamento dell’attuale regime, le trattative per la liberazione di Rossella dovranno ricominciare daccapo.